Archivi tag: bosone di Higgs

Is our Universe math based?

La recente scoperta del bosone di Higgs, o di una particella che gli assomiglia tanto, è stata prevista allo stesso modo con cui è stato scoperto Nettuno e le onde radio: la matematica. Una volta Galileo affermò che il nostro Universo è una grande libro scritto nel linguaggio della matematica. Dunque, la domanda è: come mai l’Universo sembra avere una struttura matematica e cosa vuol dire? Nel suo libro “Our Mathematical Universe: My Quest for the Ultimate Nature of Reality“, edito da Knopf, il cosmologo Max Tegmark tenta di spiegare il perchè l’Universo non sia esattamente descritto dalla matematica ma che invece sia la matematica stessa un ‘gigantesco oggetto matematico’ nel quale tutti noi facciamo parte integrante e che è a sua volta immerso in una struttura ancora più grande, insomma un multiverso così immenso che rende l’esistenza degli altri universi quasi insignificante a confronto.

Max Tegmark leads us on an astonishing journey through past, present and future, and through the physics, astronomy and mathematics that are the foundation of his work, most particularly his hypothesis that our physical reality is a mathematical structure and his theory of the ultimate multiverse. In a dazzling combination of both popular and groundbreaking science, he not only helps us grasp his often mind-boggling theories, but he also shares with us some of the often surprising triumphs and disappointments that have shaped his life as a scientist. Fascinating from first to last, this is a book that has already prompted the attention and admiration of some of the most prominent scientists and mathematicians.

Our Mathematical Universe boldly confronts one of the deepest questions at the fertile interface of physics and philosophy: why is mathematics so spectacularly successful at describing the cosmos? Through lively writing and wonderfully accessible explanations, Max Tegmark—one of the world’s leading theoretical physicists—guides the reader to a possible answer, and reveals how, if it’s right, our understanding of reality itself would be radically altered.” —Prof. Brian Greene, physicist, author of The Elegant Universe and The Hidden Reality.

Daring, Radical. Innovative. A game changer. If Dr. Tegmark is correct, this represents a paradigm shift in the relationship between physics and mathematics, forcing us to rewrite our textbooks. A must read for anyone deeply concerned about our Universe.” —Prof. Michio Kaku, author of Physics of the Future.

Tegmark offers a fresh and fascinating perspective on the fabric of physical reality and life itself. He helps us see ourselves in a cosmic context that highlights the grand opportunities for the future of life in our Universe.” —Ray Kurzweil, author of The Singularity is Near.

Readers of varied backgrounds will enjoy this book. Almost anyone will find something to learn here, much to ponder, and perhaps something to disagree with.” —Prof. Edward Witten, physicist, Fields Medalist & Milner Laureate.

This inspirational book written by a true expert presents an explosive mixture of physics, mathematics and philosophy which may alter your views on reality.” —Prof. Andrei Linde, physicist, Gruber & Milner Laureate for development of inflationary cosmology.

Galileo famously said that the Universe is written in the language of mathematics. Now Max Tegmark says that the universe IS mathematics. You don’t have to necessarily agree, to enjoy this fascinating journey into the nature of reality.” —Prof. Mario Livio, astrophysicist, author of Brilliant Blunders and Is God a Mathematician?

Scientists and lay aficionados alike will find Tegmark’s book packed with information and very thought provoking. You may recoil from his thesis, but nearly every page will make you wish you could debate the issues face—to—face with him.” —Prof. Julian Barbour, physicist, author of The End of Time.

In Our Mathematical Universe, renowned cosmologist Max Tegmark takes us on a whirlwind tour of the Universe, past, present—and other. With lucid language and clear examples, Tegmark provides us with the master measure of not only of our cosmos, but of all possible universes. The Universe may be lonely, but it is not alone.” —Prof. Seth Lloyd, Professor of quantum mechanical engineering, MIT, author of Programming the Universe.

“Max Tegmark leads his readers, clearly and accessibly, right to the frontiers of speculative cosmology —and indeed far beyond.” —Prof. Martin Rees, Astronomer Royal, cosmology pioneer, author of Our Final Hour.

A lucid, engaging account of the various many—universes theories of fundamental physics that are currently being considered, from the multiverse of quantum theory to Tegmark’s own grand vision.” —Prof. David Deutsch, physicist, Dirac Laureate for pioneering quantum computing.

Scientific American: Is the Universe Made of Math?

arXiv: The Mathematical Universe

Le linee guida per risolvere i misteri della fisica fondamentale

Alla scorsa conferenza tenutasi presso l’Università del Minnesota, tra la fine di Luglio e i primi di Agosto, durante il Snowmass Community Summer Study, quasi 700 fisici delle particelle provenienti da circa un centinaio di università hanno raggiunto una serie di conclusioni allo scopo di svelare durante i prossimi venti anni i segreti più nascosti della materia, dell’energia, dello spazio e del tempo.

Senza alcun dubbio, negli ultimi due anni gli scienziati hanno fatto passi da gigante verso la comprensione delle leggi della natura. La scoperta del nuovo bosone scalare, annunciato il 4 Luglio 2012 dai fisici del CERN (post), ha posto ‘fine’ ad una lunga ricerca durata diversi decenni e nuovi indizi sono emersi sul comportamento bizzarro di alcune particelle chiamate neutrini (neutrini). Nonostante questi successi, in realtà rimangono ancora alcune domande aperte: ad esempio, le proprietà fondamentali dei neutrini non sono completamente comprese; materia scura ed energia scura, che costituiscono insieme il 95% del contenuto materia-energia dell’Universo, rappresentano gli enigmi più profondi della cosmologia moderna (vedasi Enigmi Astrofisici). Gli scienziati che hanno partecipato quest’anno al congresso Snowmass Community Summer Study hanno definito una serie di linee guida allo scopo di identificare e cercare di risolvere i temi più importanti della fisica delle particelle.

Ecco qui di seguito una serie di domande a cui occorrerà dare una risposta:

1. Il bosone di Higgs non è una particella come le altre. Perché è così differente? Ce ne sono altri?

2. I neutrini sono particelle elusive e molto leggere e che possono modificare la loro identità man manco che si propagano. In che modo possono essere spiegati nell’ambito del quadro generale?

3. Le particelle note costituiscono 1/6 di tutta la material presente nell’Universo. Il resto viene chiamato materia scura. Ma che cos’è? Possiamo rivelare queste particelle in laboratorio? Ci sono, forse, alter particelle che non sono state ancora scoperte?

4. Conosciamo quattro interazioni fondamentali. Si tratta di quattro manifestazioni diverse di una singola forza? Esistono altre forze in natura?

5. Esistono nuove dimensioni ‘nascoste’ dello spazio e del tempo?

6. Materia e antimateria vennero prodotte in seguito al Big Bang. Come mai il nostro Universo è fatto sostanzialmente di materia?

7. Perché l’espansione dell’Universo sta accelerando?

Oggi, nonostante esistano numerose idee nel campo della fisica delle particelle, c’è ancora molto da esplorare e la nostra comprensione dell’Universo si limita solamente ad una frazione inferiore al 5% rispetto al contenuto totale materia-energia. La domanda è: che cos’è tutto il resto? Insomma, per i prossimi venti anni l’obiettivo dei fisici sarà quello di realizzare esperimenti di nuova generazione in modo da espandere sempre di più le nostre conoscenze sulla natura dello spazio e del tempo e tentare così di risolvere alcuni misteri della fisica fondamentale.

LHC e il bosone di Higgs: la suspense continua

Ad un anno dall’annuncio da parte dei fisici del CERN sulla scoperta di un nuovo bosone scalare le cui proprietà sembrano essere consistenti proprio con quelle della famigerata “particella di dio”, pare che i giochi non siano ancora fatti.

Senza alcun dubbio, ciò che sappiamo è che esiste in natura una nuova particella, un bosone di tipo scalare, mai osservata prima che fossero realizzati gli esperimenti presso il Large Hadron Collider (LHC), e ora occorre capire in definitiva se si tratti o meno del bosone di Higgs. L’esistenza di questa particella dovrebbe colmare una grossa lacuna del modello standard della fisica fondamentale, la teoria che descrive il comportamento e le proprietà delle particelle elementari e le forze della natura. Secondo la teoria, il bosone di Higgs è un campo di forze ‘invisibile’ che interagisce con le particelle alle quali viene conferita una determinata massa. Senza questo campo di forze, la materia composta da atomi non esisterebbe, compresi noi stessi.

Tuttavia, mentre il modello standard prevede l’esistenza di un solo bosone di Higgs, altri modelli, come ad esempio la teoria delle stringhe, prevedono l’esistenza di almeno altre cinque particelle. Ma allora la domanda è: quale di queste particelle è stata osservata?

Fino ad oggi, i dati suggeriscono che si tratti proprio del bosone previsto dal modello standard dato che la particella sembra possedere almeno due delle caratteristiche principali che ci aspettiamo per il bosone di Higgs. Infatti, secondo il modello standard, il bosone di Higgs deve avere un momento angolare, cioè “spin”, nullo e parità positiva, una proprietà che indica il comportamento nella fisica quantistica della sua immagine speculare. Ancora una volta, l’analisi dei dati indica che la particella ha effettivamente spin nullo e parità positiva. Ma nonostante tutti i dati puntino alle proprietà che caratterizzano il bosone di Higgs, è anche vero che ci sono delle discrepanze, anche se al momento i fisici le considerano poco significative. Ad ogni modo, questo mese si aspettano nuovi indizi dal meeting della European Physical Society, che si terrà a Stoccolma dal 18 al 24 Luglio, ma certamente occorreranno ulteriori dati prima di dichiarare con assoluta certezza che stiamo parlando esattamente del bosone di Higgs del modello standard. Insomma, nella scienza come sempre non si è mai in grado di provare che qualcosa sia giusto, piuttosto è più facile dimostrare che qualcosa sia sbagliato. Dunque, anche se LHC quando riprenderà le attività nel 2015 sarà in grado di rivelare particelle più pesanti, forse altri bosoni di Higgs, è probabile che al momento non arriveremo ad avere dei risultati conclusivi.

Articoli correlati

La varianza quantistica della velocità della luce

A scuola ci insegnano che la velocità della luce è una grandezza fisica costante e, come sappiamo tutti, il suo valore è di quasi 300.000 Km/sec. Lo stesso Einstein fondò i principi della relatività speciale assumendo come postulato fondamentale l’invarianza della velocità della luce. Oggi, però, alcuni fisici teorici stanno studiando la possibilità che questo limite invalicabile possa essere superato come conseguenza della natura quantistica dello spazio vuoto (post).

La definizione della velocità della luce trova diverse applicazioni nel campo dell’astrofisica e della cosmologia perché, di fatto, si assume che la luce abbia una velocità costante nel tempo. Ad esempio, si parla della velocità della luce quando si eseguono le misure della costante di struttura fine che definisce l’intensità della forza elettromagnetica. Dunque, la variazione della velocità della luce potrebbe avere delle implicazioni importanti sui legami molecolari e sulla densità nucleare della materia. Inoltre, il fatto di avere la velocità della luce variabile nel tempo potrebbe incidere sulle stime della dimensione del nostro Universo. Tutto ciò non implica che un giorno potremmo viaggiare con una velocità superiore a quella della luce poiché gli effetti della teoria della relatività speciale sono una conseguenza della stessa velocità della luce. Il problema che si sono posti i teorici è quello di capire se è possibile misurare, in qualche modo, la velocità della luce partendo dalle proprietà quantistiche dello spazio vuoto. Da qui sono partiti due gruppi di ricercatori che nonostante propongano meccanismi differenti, essi arrivano alla stessa conclusione e cioè che la velocità della luce potrebbe non essere costante nel tempo se vengono modificate alcune assunzioni di base relative al modo con cui le particelle elementari interagiscono con la radiazione. In altre parole, si parte dal presupposto secondo cui lo spazio quantistico non è completamente vuoto ma è riempito di una sorta di “zuppa di particelle virtuali” che improvvisamente appaiono e scompaiono in una piccolissima frazione di secondo.

Nel primo articolo, Marcel Urban dell’Université du Paris-Sud analizza la natura dello spazio vuoto. Le leggi della meccanica quantistica, che descrivono il mondo degli atomi e delle particelle subatomiche, affermano che lo spazio vuoto è popolato di particelle fondamentali, come i quark, chiamate particelle virtuali. Queste particelle elusive, che emergono sempre in coppia con le loro antiparticelle, appaiono e scompaiono quasi immediatamente in un continuo processo di annichilazione tra materia e antimateria. Man mano che attraversano lo spazio, i fotoni, che costituiscono la radiazione, vengono catturati e riemessi dalle particelle virtuali. Urban ed il suo gruppo propongono che le energie delle particelle virtuali, più precisamente la quantità di carica che esse trasportano, possono modificare la velocità della luce. Dato che la quantità di energia che ogni particella virtuale possiede quando interagisce con il fotone è sostanzialmente casuale, questo effetto che si ha sul modo con cui i fotoni si muovono può altresì variare. Di conseguenza, il tempo che la luce impiega per attraversare una certa distanza varierà con la radice quadrata della distanza percorsa sebbene l’effetto sia molto piccolo, cioè dell’ordine di 0,005 femtosecondi per ogni metro quadrato di spazio vuoto (1 femtosecondo=1 milionesimo di miliardesimo di secondo). Ora, per osservare questa minuscola fluttuazione, occorre misurare il modo con cui la luce viene dispersa su distanze molto grandi. Alcuni fenomeni astronomici, come ad esempio i gamma-ray burst, producono degli impulsi energetici di radiazione elettromagnetica che arrivano sulla Terra dopo aver viaggiato per alcuni miliardi di anni-luce. Trovandosi ad enormi distanze cosmologiche, questi lampi di raggi-gamma potrebbero essere ottimi laboratori astrofisici per misurare questo piccolissimo intervallo di tempo. Una tecnica alternativa si basa, invece, sull’utilizzo di un fascio laser che rimbalza varie volte su una serie di specchi, ognuno separati da una distanza di circa 100 metri, allo scopo di determinare una impercettibile variazione della velocità della luce.

Nel secondo articolo, gli autori propongono un meccanismo differente che però porta alla stessa conclusione e cioè che la velocità della luce potrebbe variare nel tempo. Gerd Leuchs e Luis Sánchez-Soto del Max Planck Institute for the Physics of Light in Erlangen partono dal presupposto che la luce è caratterizzata da tutto l’insieme delle specie che compongono le particelle elementari. Gli autori calcolano che ci dovrebbero essere almeno 100 “specie” di particelle che possiedono una carica. Ma il modello standard delle particelle elementari ne identifica molto meno: l’elettrone, il muone, il taone, sei tipi di quark, il fotone ed il bosone W. Esiste una grandezza fisica, chiamata impedenza del vuoto, che dipende dalla permittività elettrica del vuoto, cioè dalla capacità di resistere ai campi elettrici, e dalla sua permeabilità magnetica del vuoto, cioè dalla capacità di resistere ai campi magnetici. Sappiamo che le onde luminose sono costituite sia dai campi elettrici che dai campi magnetici, perciò se modifichiamo la permittività e la permeabilità del vuoto dovute alle particelle virtuali, si potrà misurare una variazione della velocità della luce. In questo modello, l’impedenza del vuoto, che dovrebbe accelerare o rallentare la velocità della luce, dipende dalla densità delle particelle virtuali.

I due gruppi affermano entrambi che la luce interagisce con le coppie virtuali particelle-antiparticelle. Ma alcuni scienziati, come il fisico delle particelle Jay Wacker, rimangono scettici. Wacher non è convinto delle tecniche matematiche che sono state utilizzate dai due gruppi, non solo ma crede anche che esse non siano state applicate nel modo adeguato perciò una tecnica migliore potrebbe essere quella che fa uso dei cosiddetti diagrammi di Feynman. In più, se è vero che esistono molte altre particelle rispetto a quelle già note del modello standard allora la teoria necessita seriamente una revisione. Dobbiamo dire, però, che finora le previsioni del modello standard sono state precise, vedasi in particolare con la scoperta del bosone scalare (post). Certamente, questo non vuol dire che non esistono in natura altre particelle ma se ci sono con ogni probabilità si devono trovare a valori più elevati di energia che sono al momento al di fuori dei limiti strumentali raggiunti dagli acceleratori di particelle ed è quindi possibile che i loro effetti si mostrino altrove. Insomma, al momento non ci sono verifiche sperimentali che supportino queste idee che senza dubbio rimangono molto interessanti dato che potrebbero avere delle serie implicazioni sulle attuali teorie fisiche. Sarei stato curioso di sentire il parere di Einstein in merito.

arXiv (1° articolo): The quantum vacuum as the origin of the speed of light 
arXiv (2° articolo): A sum rule for charged elementary particles

LHC, nel 2015 attese nuove scoperte

Come tutti sanno, il grande collisore adronico (LHC) è stato ‘spento’ per eseguire tutta una serie di manutenzioni che richiederanno almeno due anni di lavori (post). I fisici sperano così che l’acceleratore potrà raggiungere nel 2015 la sua massima capacità operativa che venne ridotta nel 2008 a causa di un incidente subito dopo la messa in funzione.

Per costruire LHC ci sono voluti circa 10 anni, dal 1998 al 2008, con l’obiettivo di rispondere ad alcune questioni fondamentali riguardanti il Modello Standard, cioè il quadro migliore che ci permette oggi di descrivere le proprietà delle particelle elementari e tre interazioni fondamentali. Ad una di queste è stato possibile rispondere parzialmente grazie alla scoperta di un bosone scalare che sembra avere le caratteristiche consistenti con “uno” dei bosoni di Higgs e i cui risultati sono stati presentati l’anno scorso alla conferenza di Luglio (post1; post2). Ma i ricercatori vogliono sapere di più soprattutto per quanto riguarda le particelle che dovrebbero costituire l’enigmatica materia scura di cui non sappiamo ancora nulla anche se siamo sulla buona strada (post1; post2). I lavori di manutenzione costeranno circa 105 milioni di dollari e permetteranno di sostituire almeno 10.000 collegamenti tra le diverse sezioni del collisore e di aggiungere 5.000 sistemi isolanti. Inoltre, saranno sostituiti alcuni sistemi elettrici e magnetici in modo da far sì che l’acceleratore possa raggiungere una potenza almeno doppia rispetto ai precedenti esperimenti. Una volta che LHC sarà operativo la speranza da parte dei fisici sarà quella di capire se esistono le particelle supersimmetriche o se ci sono in natura altre particelle ancora sconosciute o, infine, altri tipi di bosoni di Higgs.

Il bosone di Higgs secondo Marc Sher

Pare che la particella osservata da LHC, le cui proprietà sono consistenti con quelle di “un” bosone di Higgs (post), abbia esattamente le caratteristiche descritte nel 1978 dal fisico teorico Marc Sher.

Sher, che insegna fisica alla William & Mary College, ha dedicato la sua vita professionale alla fenomenologia del bosone di Higgs. Le analisi dei dati relative ai due esperimenti, ATLAS e CMS, si basano su un risultato che è stato confermato con un livello di confidenza pari a 5 sigma, un parametro che indica il fatto che siamo di fronte effettivamente ad un vero e proprio segnale fisico. Gli scienziati sono estremamente felici per il fatto che questi risultati si sono dimostrati consistenti nell’ambito del Modello Standard, cioè il miglior quadro teorico che descrive le proprietà ed il comportamento delle particelle elementari e di tre interazioni fondamentali. Per Sher questi risultati danno valore e credito al suo  lavoro svolto durante la sua carriera di fisico anche se sono l’indicazione di una sorta di ‘scenario da incubo’, così come è stato definito dallo scienziato. “Ho sempre detto che ci sarebbe stato uno scenario da incubo se i fisici avessero trovato il bosone di Higgs e nient’altro. Ed è ciò che è stato trovato”, spiega Sher. Gli esperimenti di LHC hanno provato l’esistenza di un bosone di Higgs ed eventuali anomalie, che sarebbero sorte in seguito alla scoperta del bosone di Higgs, quasi certamente avrebbero puntato verso una nuova fisica (post). “Oggi siamo di fronte ad una situazione analoga a quella di un gatto che tenta di afferrare un topo dopo 35 anni. Alla fine riusciamo a prendere il topo e poi ci chiediamo cosa ne facciamo”. Anche se i dati sul bosone di Higgs non ci mostrano degli indizi che implicano una nuova fisica, Sher afferma che esistono numerosi dati che impegneranno i fisici ancora per lungo tempo. “Ci sono i neutrini. C’è la supersimmetria. C’è la materia scura. In questo periodo sto preparando un articolo sulla possibilità che esista un altro bosone di Higgs che non è stato osservato da LHC. Si tratta di una particella più leggera che decade in quelle che noi chiamiamo fotoni scuri. Insomma, ci sono certe cose che potrebbero essere trovate negli esperimenti futuri del CERN”. Oggi il CERN è chiuso per permettere tutta una serie di manutenzioni e revisioni in modo da ritornare operativo nel 2015. E’ curioso notare come Sher, impegnato a preparare una presentazione per discutere le conseguenze di questa scoperta, abbia messo nella sua slide finale il famoso “Urlo”di Munch.

W&M College: The Higgs boson looks just like Marc Sher said it would. Now what?

NPR News: 'God Particle' Discovery Disappoints Some Physicists

Habemus Higgs!

“Nuntio Vobis Gaudium Magnum: Habemus Higgs!” Già, sarebbe il caso di parafrasare una famosa frase ricollegandoci a quanto è avvenuto in questi giorni dato che i media stanno spingendo sempre più la notizia che i fisici abbiano davvero scoperto “il” bosone di Higgs. In realtà, per essere precisi dobbiamo dire che i risultati che emergono dagli esperimenti ATLAS e CMS, presentati al recente meeting di Moriond (post), mostrano con una sufficiente evidenza che la nuova particella sia quasi certamente “un” bosone di Higgs e non “il” bosone di Higgs. È importante sottolineare questa differenza dato che i fisici avranno la necessità di avere più dati per capire quale tipo di bosone di Higgs sia stato osservato. Oggi, comunque, possiamo affermare che stiamo avendo a che fare con un tipo di bosone di Higgs.

La situazione sembra analoga a quella che si ha al Vaticano dove in questo momento esistono due papi: uno in carica diremo che potremmo paragonare al nostro bosone di Higgs ufficiale e uno emerito che potremmo invece associare alla nuova particella annunciata dai fisici nell’estate del 2012 (post). Ora, dato che il papa è unico dunque anche il bosone di Higgs dovrebbe essere unico ed uno solo. Infatti, il Modello Standard prevede l’esistenza di un solo bosone di Higgs e finora le proprietà della nostra particella sono compatibili con quelle del bosone di Higgs del Modello Standard. Tuttavia, potrebbe trattarsi di uno dei 5 tipi di bosoni di Higgs che sono stati postulati dalla supersimmetria, cioè dalla teoria che rappresenta una estensione del Modello Standard e che dovrebbe completare in maniera più adeguata la descrizione della struttura della materia fornendo una possibile spiegazione ad una misteriosa componente che domina il contenuto di materia presente nell’Universo e che per nostra ignoranza chiamiamo materia scura.

Uno dei punti discussi al meeting di Moriond riguarda le previsioni del Modello Standard che attualmente fornisce un quadro coerente della fisica delle particelle come noi la conosciamo oggi. Le equazioni del Modello Standard contengono diversi parametri che sono fortemente correlati. Il gruppo di fisici teorici e sperimentali, denominato Gfitter, hanno raccolto i migliori dati che sono stati ottenuti fino ad oggi per inserire i vari parametri determinati sperimentalmente nelle equazioni del Modello Standard. Questi riguardano le masse delle particelle (quark-top, bosoni W e Z) e diversi parametri di accoppiamento che sono quelli associati al tasso di decadimento in particelle più leggere. Questa tecnica viene chiamata “electroweak fit” dato che si riferisce alla miglior descrizione di tutti i parametri della teoria elettrodebole. Questi fit sono stati utilizzati per determinare la massa del quark-top prima che venisse scoperto nel 1995 al Fermilab. L’accordo tra la previsione del modello e il valore misurato è alquanto significativo come è mostrato nella figura. Il grafico illustra le previsioni relative alla massa del quark-top utilizzando un fit simultaneo di tutti i parametri della teoria elettrodebole. La regione in blu rappresenta le previsioni ottenute dal fit e i punti in nero mostrano il valore misurato dagli esperimenti del Tevatron.

Uno dei parametri nuovi ed essenziali della teoria elettrodebole è la massa del bosone di Higgs. Per diversi anni, uno degli obiettivi più importanti di questo fit è stato quello di derivare la massa della particella al fine di guidare, per così dire, i fisici nella “caccia” a questa particella elusiva. Se guardiamo il grafico, possiamo applicare due ‘trucchi’: o utilizziamo tutti i parametri che sono stati misurati e vediamo quali sono i valori previsti per la massa del bosone di Higgs oppure possiamo assumere che la particella annunciata nel 2012 sia il bosone di Higgs per cui utilizziamo la sua massa per controllare se il modello sia autoconsistente. Lo scopo è quello di vedere se tutto rientra nel quadro teorico o se, invece, il modello inizia a deviare. Entrambe le risposte sono mostrate nella seconda immagine. Il punto dove la curva in grigio tocca l’asse orizzontale fornisce la massa più probabile del bosone di Higgs assumendo tutte le altre limitazioni imposte nel Modello Standard da tutti valori che sono stati inseriti nelle equazioni. La larghezza di questa curva dà l’incertezza sul valore della massa. La risposta che si ottiene è di 94 +25 e -22 GeV in accordo, entro 1,3 sigma, con la massa della nuova particella che è circa 125,7 ± 0,6 GeV. Dunque il fit ci fornisce una previsione consistente per la massa del nuovo bosone scalare. La seconda curva, quella blu più stretta e verticale, mostra la previsione del fit se consideriamo il valore sperimentale della massa del nuovo bosone scalare. Se la teoria ha una sua consistenza, il valore della massa del bosone di Higgs dato dal fit dovrebbe essere in accordo con quello inserito nel modello. E di fatto lo è, con un margine d’incertezza più piccolo, e si trova al di sopra del valore che è stato inserito nel fit. Ciò vuol dire che la parte elettrodebole del Modello Standard possiede una elevata autoconsistenza. C’è solo una probabilità pari al 7% che non si abbia l’accordo tra il dato sperimentale e quello previsto dal modello. La differenza è dovuta principalmente a due parametri e cioè la massa del bosone W ed il cosiddetto parametro dell’asimmetria destra-sinistra misurato nei processi di decadimento del bosone Z in quark-bottom. Riducendo ulteriormente le incertezze sui parametri che sono stati utilizzati per il fit, vedremo alla fine se il Modello Standard presenterà delle deviazioni. Come, però, risulta dalla situazione che abbiamo, tutto sembra essere in ordine anche se il modello acquista sempre meno una certa libertà di azione. Questo vuol dire che tali fit potrebbero rivelare alcuni difetti nel modello.

Gli esperimenti condotti presso i rivelatori ATLAS e CMS hanno controllato non solo il valore della massa ma anche i processi di accoppiamento del nuovo bosone scalare. In tutti i casi dove gli esperimenti hanno una certa sensibilità, si è trovato che gli accoppiamenti sono consistenti con il Modello Standard. Ma la verità potrebbe celarsi nelle cose più piccole. Prendiamo, ad esempio, l’intensità del segnale, una quantità che misura quanti eventi si trovano in diversi canali di decadimento in confronto a quelli che sono previsti dal Modello Standard. Il bosone del Modello Standard dovrebbe essere visibile con una intensità del segnale pari ad 1 in tutti i canali. Se, però, esistono delle particelle non ancora osservate queste potrebbero fornire più opzioni nel modo con cui il bosone di Higgs decade e perciò dovremmo iniziare ad osservare più eventi oppure, se esistono altri bosoni di Higgs, potremmo vedere una intensità inferiore del segnale in qualche canale di decadimento. Tra i nuovi risultati che sono stati presentati al meeting di Moriond, l’esperimento CMS ha riportato i dati relativi al decadimento del bosone di Higgs in due fotoni (vedi figura) mentre ATLAS ha osservato il decadimento del bosone di Higgs in una coppia di bosoni W. I dati riportati dai due esperimenti sono: 0.78±0.27 per l’analisi generale e 1.11±0.31 per il doppio controllo secondo il rivelatore CMS; 1.0±0.3 nel canale WW e 1.30±0.21  per tutti canali combinati secondo il rivelatore ATLAS. Dunque, possiamo concludere che i dati sono in ragionevole accordo con il valore 1 come previsto dal Modello Standard. I valori che si differenziano dall’unità possono essere dovuti a fluttuazioni statistiche oppure implicati da una nuova fisica (post). Naturalmente occorreranno più dati per poter definire meglio di che cosa si sta parlando. Insomma, siamo sulla buona strada ma il percorso da fare è ancora lungo. Oggi, però, possiamo dire che abbiamo a che fare con “un” bosone di Higgs, ma non sappiamo con certezza quale è tra i cinque previsti dalla supersimmetria.




L’intervento di Fabiola Gianotti al Rencontres de Physique de la Vallée d’Aoste del 28/02/2013

Quella particella che ‘tanto assomiglia’ al bosone di Higgs

LHC EventsDal meeting Rencontres de Moriond attualmente in corso a La Thuile sul tema delle interazioni elettrodeboli e le teorie unificate, stanno emergendo alcuni risultati interessanti in base ai quali la particella osservata dai recenti esperimenti ATLAS e CMS presso LHC (post), le cui proprietà sembrano essere consistenti con quelle del bosone di Higgs, sembrerebbe essere ‘sempre di più’ l’elusivo bosone di Higgs, l’ultimo tassello mancante che andrebbe a completare così il quadro teorico, noto come Modello Standard,  per spiegare l’origine della massa delle particelle.

Naturalmente, i fisici hanno dichiarato che prima di arrivare ad una conclusione definitiva è necessario proseguire con l’analisi dei dati. In altre parole, bisogna capire meglio sia le sue proprietà e come essa interagisce con le altre particelle. Una di queste proprietà che permetterà di arrivare ad una identificazione positiva, o meno, della particella, cioè se si tratti effettivamente del bosone di Higgs teorizzato, è chiamata spin, cioè il momento angolare intrinseco. Secondo la teoria, il bosone di Higgs deve avere spin uguale a zero. Al momento, l’analisi dei dati indica fortemente un valore zero dello spin, ma non è da escludere del tutto la possibilità che la particella abbia spin 2. Insomma, fino a quando i fisici non saranno in grado di determinare l’effettivo valore dello spin dovremo ancora utilizzare il termine “particella sosia”, cioè particella simile al bosone di Higgs. Se, invece, scopriremo che essa ha spin nullo allora potremo parlare di bosone di Higgs. Secondo il fisico britannico Peter Higgs, che teorizzò sin già nel 1964 l’esistenza di questa particella, il bosone di Higgs potrebbe essere stato il ‘mediatore’, per così dire, nel meccanismo di conferimento della massa alla materia creatasi subito dopo il Big Bang. Lo scorso Luglio, gli scienziati del CERN hanno comunque dichiarato che sono certi, con un livello di confidenza pari al 99,9%, di aver trovato il famigerato bosone senza il quale, almeno in teoria, tutti gli atomi presenti nell’Universo, compresa la stessa vita, non esisterebbero.

Rencontres de Moriond: Standard Model Scalar Boson Session (webcast)
CERN:A question of spin for the new boson

La massa del bosone di Higgs e la fine dell’Universo

Il 21 dicembre 2012 doveva essere la data della fine del mondo (post). Oggi, ancora peggio, le notizie non sono confortanti nel senso che la fine del mondo non si limiterebbe al nostro pianeta bensì all’intero Universo.

Queste conclusioni derivano dalle recenti misure della massa della nuova particella osservata all’LHC (post). Prima, però, concentriamoci sui cosiddetti stati metastabili che sono temporaneamente stabili. Di cosa si tratta? Facciamo un esempio. Immaginiamo, per un attimo, di essere ad una festa con un gruppo numeroso di amici. Si sta facendo tardi e non c’è abbastanza cibo da soddisfare tutti. Occorrerà, perciò, ordinare delle pizze o, alternativamente, andare in un ristorante. Questa situazione determina uno stato di energia metastabile poiché non siamo sicuri in quale direzione andremo in funzione della decisione che sarà presa. Le opzioni del cibo rappresentano tutte stati di minima energia, in qualche modo tutti si siederanno e mangeranno nell’uno o nell’altro caso, per cui le cose alla fine tendono in maniera naturale verso stati di minima energia. Una volta che una persona se ne va o ordina la pizza, la festa finisce: cioè ognuno va a prendersi del cibo. Ma cosa c’entra tutto ciò con la fine dell’Universo? Secondo la meccanica quantistica, è possibile che lo stato di minima energia del nostro Universo, quando non c’è più nulla ma solamente lo spazio e il tempo, non è lo stato più basso di energia rispetto a tutti gli stati possibili. In altre parole, esisterà uno stato ancora di minima energia nel quale il nostro Universo può andare. Ma nello stato di minima energia, tutti i protoni di tutta la materia presente nell’Universo decadono, con la sfortunata conseguenza che noi stessi cessiamo di esistere. Ancora peggio, la transizione potrebbe accadere in qualsiasi momento, in qualsiasi punto nello spazio ed espandersi alla velocità della luce partendo da una bolla molto piccola fino a che essa non annichila con l’intero Universo. Questa idea è stata esaminata di recente all’interno del contesto del Modello Standard, il quadro più moderno della teoria quantistica che descrive le proprietà delle particelle subatomiche e le interazioni fondamentali. Una serie di calcoli molto accurati indicano che la stabilità del nostro Universo è strettamente legata alla massa del bosone di Higgs, e a quella del quark top, un parametro che, grazie agli sforzi del grande collisore adronico, ha oggi un valore di circa 125 GeV. È la conclusione di questa analisi che ha scatenato i media: il Modello Standard prevede che affinchè il nostro Universo si mantenga stabile, la massa del bosone di Higgs deve essere maggiore di 129,4 ± 5,6 GeV. Dunque la fine dell’Universo sarebbe insignificante almeno in termini delle unità di tempo a cui sono abituati i cosmologi i cui valori sono dell’ordine di miliardi di triliardi di anni. Come sempre, ci sono delle obiezioni alle conclusioni non favorevoli. Il punto principale è che il Modello Standard non fornisce una descrizione completa del nostro Universo. Intanto, non include la gravità, le masse del neutrino che sono state osservate sperimentalmente e non dà alcuna spiegazione dell’elusiva materia scura. Queste problematiche hanno portato i teorici a costruire tutta una serie di modelli che sono estensioni del Modello Standard e che introducono nuovi stati della materia. Quello che è importante è il fatto che questi ulteriori stati della materia possono facilmente modificare le conclusioni sulla stabilità dell’Universo. Ad esempio, in quei modelli nei quali ci sono due campi di Higgs, le interazioni tra questi campi possono portare a un insieme di stati di energia diverso da quello previsto dal Modello Standard. Insomma, se l’Universo contiene davvero diversi campi di Higgs, esistono comunque delle indicazioni dai dati raccolti dagli esperimenti condotti presso LHC per cui risulta molto improbabile che viviamo oggi in uno stato metastabile e perciò possiamo concludere che al momento siamo al sicuro.

The Conversation: Could the Higgs mass determine the end of the universe?

Il CERN va in ‘letargo’ prima di risvegliarsi per una nuova ‘caccia quantistica’

Credit: LHC/CERN

Sette mesi dopo l’annuncio della scoperta di una nuova particella che sembra avere le proprietà consistenti con quelle del bosone di Higgs, i fisici del CERN si prenderanno un periodo di pausa prima di rituffarsi nella ricerca verso l’ignoto.

Da qualche giorno, gli strumenti sono passati nella modalità offline in modo da eseguire tutta una serie di operazioni che dureranno circa 18 mesi. Lo scorso mese di Luglio, il CERN è stato il teatro di una straordinaria scoperta (post). Gli scienziati sostengono che si tratta al 99,9% del fantomatico bosone di Higgs, una particella fondamentale senza la quale le altre particelle, compresi gli esseri umani, non esisterebbero. Le operazioni di manutenzione e di aggiornamento permetteranno di aumentare la capacità energetica del Large Hadron Collider (LHC) essenziale non solo per confermare definitivamente che la nuova particella sia effettivamente il bosone di Higgs ma anche per esplorare nuove dimensioni al fine di verificare se esistono le particelle supersimmetriche ed in particolare quelle che costituiscono la materia scura. “L’obiettivo è quello di esplorare l’ignoto“, spiega Frederick Bordry, a capo del Dipartimento di Tecnologia del CERN. “Abbiamo ciò che pensiamo sia il bosone di Higgs e tutte le teorie sulla supersimmetria e così via. Abbiamo bisogno di aumentare l’energia di collisione tra le particelle in modo da guardare più in profondità i fenomeni della fisica. E’ come andare in un territorio sconosciuto“. Ipotizzato nel 1964 dal fisico britannico Peter Higgs, il bosone di Higgs è conosciuto comunemente e fantasiosamente anche come la “particella di dio”, così definita da Leon Lederman. Higgs calcolò che un campo di bosoni poteva spiegare una anomalia fastidiosa: perché alcune particelle hanno massa mentre altre non ne hanno, come ad esempio i fotoni che costituiscono la luce? Questo problema rappresentava una lacuna nel Modello Standard, il quadro teorico che descrive le proprietà ed il comportamento delle particelle elementari e le interazioni fondamentali. Una idea è che il bosone di Higgs si sia originato quando l’Universo ha cominciato a  raffreddarsi subito dopo il Big Bang circa 14 miliardi di anni fa. Per quanto riguarda la supersimmetria, i fisici ritengono che debbano esistere altre particelle, più pesanti, che sono le rispettive ‘controparti’ delle particelle note del Modello Standard. Questo quadro può, a sua volta, spiegare l’esistenza della materia scura, una componente enigmatica che rappresenta il 23% circa del contenuto materia-energia dell’Universo e la cui presenza può essere rivelata solo indirettamente attraverso i suoi effetti gravitazionali. “Il gioco è quello di far collidere le particelle per trasformare l’energia liberatasi in massa. In questo modo, si creano nuove particelle e cerchiamo di capire che cosa sono“, dice Bordry. “In altre parole, si tratta di ricreare il primo microsecondo subito dopo il Big Bang”. Nel corso degli ultimi tre anni, il CERN ha fatto collidere protoni più di sei milioni di miliardi di volte. Cinque miliardi di collisioni hanno prodotto risultati confortanti per successive ricerche mentre i dati ottenuti da sole 400 collisioni hanno spianato la strada verso la rivelazione del bosone di Higgs. Nonostante l’arresto, i ricercatori del CERN certamente non staranno a guardare in quanto dovranno analizzare una grande mole di dati. “Penso che tra un anno, avremo maggiori informazioni sui dati raccolti nel corso degli ultimi tre anni“, dichiara Bordry. “Forse la conclusione sarà che abbiamo bisogno di più dati“. L’anno scorso, LHC ha raggiunto un livello di energia di collisione pari a 8 TeV partendo da 7 TeV nel 2011. Una volta che LHC ritornerà operativo nel 2015, l’obiettivo sarà quello di arrivare a 13 TeV o addirittura a 14 TeV considerando che LHC dovrebbe funzionare per almeno tre o quattro anni prima di un nuovo arresto. Il costo netto per le operazioni di  aggiornamento e manutenzione viene stimato essere vicino a 50 milioni di franchi svizzeri.

CERN: Long Shutdown: Exciting times ahead