Archivi tag: fotoni

Posto un limite al grado di ‘confusione’ dello spaziotempo

In occasione del centenario della relatività generale, un gruppo internazionale di ricercatori, hanno proposto un nuovo esperimento per verificare le previsioni della teoria di Einstein. In un articolo pubblicato su Nature Physics, essi descrivono il loro studio relativo ad una delle assunzioni base della teoria: il fatto, cioè, che tutte le particelle di luce, meglio note come fotoni, si propagano esattamente con la stessa velocità. Continua a leggere Posto un limite al grado di ‘confusione’ dello spaziotempo
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Come ti rallento la velocità della luce

Sappiamo che la velocità della luce è una costante nel vuoto. Oggi, però, sembra che esista un modo per alterare indirettamente la sua velocità facendola propagare attraverso una maschera speciale. In questo modo, viene modificata apparentemente la ‘forma’ del fotone rendendolo così più lento propagandosi nel vuoto rispetto ad un fotone normale. Continua a leggere Come ti rallento la velocità della luce

Messaggeri dell’Universo ‘invisibile’

Abbiamo detto varie volte che la materia ordinaria rappresenta quasi il 5% dell’Universo, tutto il resto è qualcosa di invisibile a cui gli scienziati hanno dato il nome di materia scura ed energia scura. Oggi, un gruppo di ricercatori che lavoreranno ad un nuovo esperimento che sarà condotto presso il Thomas Jefferson National Accelerator Facility in Virginia sperano di far luce su alcuni misteri della fisica ancora irrisolti.

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Un potente test per verificare l’esistenza di altre forze della Natura

Secondo il modello standard, le particelle che mediano le quattro interazioni fondamentali sono i fotoni, i bosoni W e Z e i gluoni. Di recente, però, è emerso un nuovo interesse per quanto riguarda la possibile esistenza di una ‘nuova forza’ che, se confermata, potrebbe implicare una estensione del modello standard. Dal punto di vista puramente teorico, questa ‘quinta forza’ sarebbe mediata da un bosone di gauge denominato Z’, o “fotone scuro” proprio perchè l’interazione sarebbe difficile da rivelare, e influenzerebbe solamente neutrini e leptoni instabili. Continua a leggere Un potente test per verificare l’esistenza di altre forze della Natura

Nuovi indizi sul processo di produzione dei fotoni nelle collisioni di alta energia

Sappiamo che il nucleo dell’atomo è composto da protoni e neutroni che, a loro volta, sono costituiti da particelle più elementari chiamate quark e gluoni. Osservare queste particelle elementari è alquanto complicato e allora i fisici utilizzano i grandi acceleratori per far scontrare gli atomi alla velocità della luce e vedere cosa accade durante le collisioni ad alta energia.

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E se la velocità della luce fosse ‘apparentemente’ più bassa?

E’ quanto afferma in un articolo pubblicato sulla rivista New Journal of Physics James Franson, un fisico dell’Università del Maryland, che ha catturato subito l’attenzione della comunità scientifica. La relatività generale ci dice che la luce viaggia nel vuoto ad una velocità costante pari a 299.792.458 metri al secondo e viene indicata con il simbolo nelle famose equazioni di Einstein. Ma dove sta il problema?
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La varianza quantistica della velocità della luce

A scuola ci insegnano che la velocità della luce è una grandezza fisica costante e, come sappiamo tutti, il suo valore è di quasi 300.000 Km/sec. Lo stesso Einstein fondò i principi della relatività speciale assumendo come postulato fondamentale l’invarianza della velocità della luce. Oggi, però, alcuni fisici teorici stanno studiando la possibilità che questo limite invalicabile possa essere superato come conseguenza della natura quantistica dello spazio vuoto (post).

La definizione della velocità della luce trova diverse applicazioni nel campo dell’astrofisica e della cosmologia perché, di fatto, si assume che la luce abbia una velocità costante nel tempo. Ad esempio, si parla della velocità della luce quando si eseguono le misure della costante di struttura fine che definisce l’intensità della forza elettromagnetica. Dunque, la variazione della velocità della luce potrebbe avere delle implicazioni importanti sui legami molecolari e sulla densità nucleare della materia. Inoltre, il fatto di avere la velocità della luce variabile nel tempo potrebbe incidere sulle stime della dimensione del nostro Universo. Tutto ciò non implica che un giorno potremmo viaggiare con una velocità superiore a quella della luce poiché gli effetti della teoria della relatività speciale sono una conseguenza della stessa velocità della luce. Il problema che si sono posti i teorici è quello di capire se è possibile misurare, in qualche modo, la velocità della luce partendo dalle proprietà quantistiche dello spazio vuoto. Da qui sono partiti due gruppi di ricercatori che nonostante propongano meccanismi differenti, essi arrivano alla stessa conclusione e cioè che la velocità della luce potrebbe non essere costante nel tempo se vengono modificate alcune assunzioni di base relative al modo con cui le particelle elementari interagiscono con la radiazione. In altre parole, si parte dal presupposto secondo cui lo spazio quantistico non è completamente vuoto ma è riempito di una sorta di “zuppa di particelle virtuali” che improvvisamente appaiono e scompaiono in una piccolissima frazione di secondo.

Nel primo articolo, Marcel Urban dell’Université du Paris-Sud analizza la natura dello spazio vuoto. Le leggi della meccanica quantistica, che descrivono il mondo degli atomi e delle particelle subatomiche, affermano che lo spazio vuoto è popolato di particelle fondamentali, come i quark, chiamate particelle virtuali. Queste particelle elusive, che emergono sempre in coppia con le loro antiparticelle, appaiono e scompaiono quasi immediatamente in un continuo processo di annichilazione tra materia e antimateria. Man mano che attraversano lo spazio, i fotoni, che costituiscono la radiazione, vengono catturati e riemessi dalle particelle virtuali. Urban ed il suo gruppo propongono che le energie delle particelle virtuali, più precisamente la quantità di carica che esse trasportano, possono modificare la velocità della luce. Dato che la quantità di energia che ogni particella virtuale possiede quando interagisce con il fotone è sostanzialmente casuale, questo effetto che si ha sul modo con cui i fotoni si muovono può altresì variare. Di conseguenza, il tempo che la luce impiega per attraversare una certa distanza varierà con la radice quadrata della distanza percorsa sebbene l’effetto sia molto piccolo, cioè dell’ordine di 0,005 femtosecondi per ogni metro quadrato di spazio vuoto (1 femtosecondo=1 milionesimo di miliardesimo di secondo). Ora, per osservare questa minuscola fluttuazione, occorre misurare il modo con cui la luce viene dispersa su distanze molto grandi. Alcuni fenomeni astronomici, come ad esempio i gamma-ray burst, producono degli impulsi energetici di radiazione elettromagnetica che arrivano sulla Terra dopo aver viaggiato per alcuni miliardi di anni-luce. Trovandosi ad enormi distanze cosmologiche, questi lampi di raggi-gamma potrebbero essere ottimi laboratori astrofisici per misurare questo piccolissimo intervallo di tempo. Una tecnica alternativa si basa, invece, sull’utilizzo di un fascio laser che rimbalza varie volte su una serie di specchi, ognuno separati da una distanza di circa 100 metri, allo scopo di determinare una impercettibile variazione della velocità della luce.

Nel secondo articolo, gli autori propongono un meccanismo differente che però porta alla stessa conclusione e cioè che la velocità della luce potrebbe variare nel tempo. Gerd Leuchs e Luis Sánchez-Soto del Max Planck Institute for the Physics of Light in Erlangen partono dal presupposto che la luce è caratterizzata da tutto l’insieme delle specie che compongono le particelle elementari. Gli autori calcolano che ci dovrebbero essere almeno 100 “specie” di particelle che possiedono una carica. Ma il modello standard delle particelle elementari ne identifica molto meno: l’elettrone, il muone, il taone, sei tipi di quark, il fotone ed il bosone W. Esiste una grandezza fisica, chiamata impedenza del vuoto, che dipende dalla permittività elettrica del vuoto, cioè dalla capacità di resistere ai campi elettrici, e dalla sua permeabilità magnetica del vuoto, cioè dalla capacità di resistere ai campi magnetici. Sappiamo che le onde luminose sono costituite sia dai campi elettrici che dai campi magnetici, perciò se modifichiamo la permittività e la permeabilità del vuoto dovute alle particelle virtuali, si potrà misurare una variazione della velocità della luce. In questo modello, l’impedenza del vuoto, che dovrebbe accelerare o rallentare la velocità della luce, dipende dalla densità delle particelle virtuali.

I due gruppi affermano entrambi che la luce interagisce con le coppie virtuali particelle-antiparticelle. Ma alcuni scienziati, come il fisico delle particelle Jay Wacker, rimangono scettici. Wacher non è convinto delle tecniche matematiche che sono state utilizzate dai due gruppi, non solo ma crede anche che esse non siano state applicate nel modo adeguato perciò una tecnica migliore potrebbe essere quella che fa uso dei cosiddetti diagrammi di Feynman. In più, se è vero che esistono molte altre particelle rispetto a quelle già note del modello standard allora la teoria necessita seriamente una revisione. Dobbiamo dire, però, che finora le previsioni del modello standard sono state precise, vedasi in particolare con la scoperta del bosone scalare (post). Certamente, questo non vuol dire che non esistono in natura altre particelle ma se ci sono con ogni probabilità si devono trovare a valori più elevati di energia che sono al momento al di fuori dei limiti strumentali raggiunti dagli acceleratori di particelle ed è quindi possibile che i loro effetti si mostrino altrove. Insomma, al momento non ci sono verifiche sperimentali che supportino queste idee che senza dubbio rimangono molto interessanti dato che potrebbero avere delle serie implicazioni sulle attuali teorie fisiche. Sarei stato curioso di sentire il parere di Einstein in merito.

arXiv (1° articolo): The quantum vacuum as the origin of the speed of light 
arXiv (2° articolo): A sum rule for charged elementary particles

Focus degli scienziati sull’entanglement quantistico

E’ noto che Albert Einstein definì l’entanglement quantistico, cioè la correlazione tra due particelle che si trovano a grande distanza, persino, in teoria, ai lati estremi dell’Universo, come “un’azione fantasma a distanza” quand’egli criticò fortemente la meccanica quantistica definendola incompleta.

Ottanta anni dopo, la meccanica quantistica rimane ancora così misteriosa al punto che esistono diverse interpretazioni sul suo significato fisico. Tutte queste interpretazioni concordano su ciò che viene osservato in un dato esperimento anche se ci raccontano storie diverse su come sono state realizzate le osservazioni” spiega Christoph Simon del Dipartimento di Fisica e Astronomia della Facoltà di Scienze presso l’Università di Calgary. Simon e Boris Braverman del Massachusetts Institute of Technology (MIT) considerano questa azione a distanza alquanto “raccapricciante” nell’ambito del modello proposto dal fisico David Bohm che afferma che ogni particella ha una posizione e velocità ben determinate. “Se le due particelle sono correlate, si trova che eseguendo una azione su una delle due si ottiene un effetto immediato sull’altra e il nostro articolo mostra come può essere dimostrato questo effetto utilizzando i fotoni” dice Simon. I fotoni correlati rappresentano un metodo eccitante per comunicazioni sicure. Tuttavia, questo fenomeno non può essere utilizzato per comunicare con una velocità superiore a quella della luce, ossia con una velocità superluminale, implicando così che i sistemi quantistici debbano obbedire alla teoria della relatività che pone come limite superiore la velocità della luce. Da un lato non esiste spiegazione a questo fenomeno, è qualcosa di magico per cui o si ottengono gli stessi risultati per ogni particella correlata, oppure la comunicazione tra i fotoni è effettivamente superluminale, anche se non è possibile secondo la teoria della relatività. “Ci deve essere una via di fuga” afferma Simon. “Coppie diverse di particelle che provengono dalla stessa sorgente hanno posizioni e velocità leggermente diverse. Se ci concentriamo su una delle due, siamo certi che non potremo determinare se una eventuale variazione della sua velocità sia dovuta all’altra particella che si trova a grande distanza o se si tratta di una fluttuazione statistica. Dunque questa impossibilità preserva la ‘pacifica’ coesistenza tra la meccanica quantistica e la relatività”.

arXiv: Proposal to demonstrate the non-locality of Bohmian mechanics with entangled photons

Di che cosa è fatta la luce: onde o particelle?

Si tratta di una delle domande fondamentali che ha da sempre affascinato i fisici sin da quando è nata la scienza sperimentale. La meccanica quantistica afferma che i fotoni, cioè le particelle di luce, sono particelle e onde simultaneamente. Oggi, alcuni fisici dell’Università di Bristol danno una nuova dimostrazione del dualismo onda-particella che è stato descritto da Richard Feynman come ‘uno dei misteri reali della meccanica quantistica’.

La storia della Scienza è stata caratterizzata da un intenso dibattito in merito al dualismo onda-particella. Isaac Newton fu un grande ammiratore della teoria particellare mentre James Clerk Maxwell dava credito alla versione ondulatoria della luce. Le cose cambiarono nettamente nel 1905, quando Albert Einstein dimostrò che era possibile spiegare l’effetto fotoelettrico assumendo che la luce è composta di particelle: i fotoni. Questa scoperta ebbe un grosso ritorno nella Fisica dato che contribuì più tardi allo sviluppo della meccanica quantistica, la più accurata delle teorie scientifiche mai formulata. Nonostante il suo successo, quello della meccanica quantistica è un mondo decisamente bizzarro e dove i fenomeni fisici vanno contro il senso comune. Ad esempio, la teoria quantistica afferma che una particella, un fotone, si può trovare in punti diversi nello stesso istante, esattamente come un’onda. Da qui la nozione del dualismo onda-particella che è alla base di tutti i sistemi quantistici. Ma in maniera sorprendente, quando un fotone viene osservato esso si comporta sia come una particella che come un’onda. Tuttavia, entrambi gli aspetti non sono ma stati osservati simultaneamente. Il fotone esibisce l’uno o l’altro aspetto in funzione del tipo di misura che viene eseguita. Ora questi fenomeni così peculiari sono stati analizzati sperimentalmente negli ultimi anni utilizzando delle apparecchiature che permettono di scambiare le misure favorendo la natura particellare e ondulatoria della luce. Di recente, un gruppo di ricercatori dell’Università di Bristol hanno realizzato un nuovo esperimento che è in grado di misurare simultaneamente il comportamento particellare e ondulatorio della luce. Lo strumento si basa sul principio di non località, un altro aspetto decisamente bizzarro della meccanica quantistica. I risultati dell’esperimento, apparsi su Science, dimostrano una forte non località, in altre parole il fotone si comporta contemporaneamente come un’onda e una particella e permettono così di scartare quei modelli in base ai quali il fotone viene considerato o come un’onda oppure come una particella.

[Press release: Bristol scientists perform new experiment to solve the ‘one real mystery’ of quantum mechanics]

Studiare i buchi neri per ‘pesare’ i fotoni

Un gruppo internazionale di ricercatori provenienti dall’Italia, dal Portogallo e dal Giappone, hanno pubblicato i risultati relativi alla determinazione del miglior limite sulla massa del fotone analizzando una serie di processi fisici che avvengono nei buchi neri supermassicci.

Nell’articolo i ricercatori spiegano il modo con cui hanno condotto le osservazioni al fine di verificare un aspetto fondamentale del modello standard, e cioè il fatto che il fotone non abbia massa, utilizzando una tecnica decisamente migliore rispetto a quanto non sia stato realizzato in precedenza. “Il test funziona così: se i fotoni avessero massa, essi potrebbero causare una instabilità tale da rallentare il moto di rotazione di tutti i buchi neri nell’Universo” spiega Emanuele Berti dell’University of Mississippi. “Ma gli astronomi ci dicono che i buchi neri supermassicci che risiedono nei nuclei galattici attivi stanno ruotando perciò questa instabilità non risulta troppo efficiente. Dunque la massa del fotone, se effettivamente ha una massa, deve essere molto piccola”. Tuttavia, i cosiddetti fotoni ultraleggeri che hanno una massa diversa da zero potrebbero produrre un effetto chiamato “bomba di buco nero”: in questo caso si avrebbe una forte instabilità da estrarre una certa quantità di energia e rallentare la rotazione del buco nero molto rapidamente. “L’esistenza di queste particelle è legata all’osservazione dei buchi neri rotanti. Con questa tecnica, siamo stati in grado di introdurre dei limiti alla massa del fotone senza precedenti: in altre parole, la massa del fotone deve essere cento miliardi di miliardi di volte più piccola dell’attuale valore della massa del neutrino, che è di circa 2 elettronVolt” dichiara Paolo Pani. I risultati di questo studio serviranno per investigare l’esistenza di nuove particelle, come quelle che dovrebbero contribuire a formare la materia scura. Insomma, lo studio dei buchi neri può fornire agli scienziati nuovi indizi che non possono essere ottenuti dagli esperimenti di laboratorio perciò queste nuove frontiere dell’astrofisica moderna ci permetteranno di avere una migliore comprensione dei processi fisici che riguardano il mondo infinitamente piccolo.   

ArXiv1: Black-Hole Bombs and Photon-Mass Bounds

ArXiv2: Perturbations of slowly rotating black holes: massive vector fields in the Kerr metric