Planck ‘dice’ che il segnale di BICEP2 sarebbe un artefatto sperimentale

I dati del satellite Planck pubblicati di recente in merito ad una analisi preliminare della distribuzione delle polveri interstellari suggeriscono che le minuscole particelle di silicati e carbonati presenti nel mezzo interstellare potrebbero tener conto al 100 percento del segnale rivelato dall’esperimento BICEP2 (post). Dunque, le osservazioni del gruppo di Harvard che erano ritenute una “chiara evidenza del passaggio delle onde gravitazionali primordiali” sarebbero state contaminate dai granelli di polvere che si allineano lungo le linee di forza del campo magnetico galattico. E’ anche vero che questa prima analisi di Planck è “relativamente definitiva” per ciò che riguarda il fatto che il segnale rivelato da BICEP2 non sia interamente dovuto alla polvere interstellare.
Credit: Olena Shmahalo/Quanta Magazine

L’analisi delle polveri lascia quindi aperta una possibilità che una parte del segnale rivelato da BICEP2 sia associata effettivamente dovuta al passaggio di onde gravitazionali primordiali, una prova indiretta di quel meccanismo fisico che avrebbe causato un periodo di rapida espansione esponenziale, noto come inflazione cosmologica. Il passaggio di onde gravitazionali primordiali avrebbe impresso delle ‘tracce‘ nella radiazione cosmica di fondo, denominate modi-B, distorcendo la luce e polarizzandola di una certa quantità come prevista dal modello di Alan Guth. A Marzo di quest’anno, il gruppo di Harvard annunciò di aver trovato una chiara evidenza dei modi-B i cui valori erano molto vicini a quelli attesi dal modello dell’inflazione. Dopo aver puntato il rivelatore verso un’area di cielo che risulta la meno contaminata dalle polveri interstellari, i ricercatori sono stati in grado di misurare la polarizzazione della radiazione cosmica con una sensibilità 12 volte superiore rispetto a quella degli esperimenti precedenti. Tuttavia, nei mesi successivi, emersero tutta una serie di dubbi poichè per alcuni scienziati era stata sottostimata la contaminazione delle polveri (post1; post2). Se BICEP2 fosse stato in grado di rivelare i modi-B a diverse frequenze, allora sarebbe stato possibile, in linea di principio, distinguere più facilmente la luce dovuta alla diffusione dei granelli di polvere da quella dovuta alla radiazione cosmica di fondo. Entrambi i contributi diventano più forti a frequenze più alte anche se l’emissione dovuta alle polveri diventa decisamente superiore.

La figura illustra l’andamento del segnale misurato da Planck in funzione della frequenza. BICEP2 ha osservato solamente alla frequenza di 150 GHz. I dati sono paragonati al modello dell’emissione dovuta alla polvere. Come si vede, i dati (in rosso) seguono proprio un andamento analogo a quello che ci si aspetta se il contributo è associato alla polvere. Credit: Planck Collaboration

Se costruiamo un grafico che mostri l’andamento dell’intensità dei modi-B in funzione della frequenza, è possibile vedere se la curva segue l’andamento crescente dovuto al contributo della radiazione cosmica oppure se segue un andamento più ripido associato all’emissione delle polveri. Tuttavia, il gruppo di Harvard scelse di massimizzare la sensibilità dei rivelatori per analizzare il segnale dei modi-B ad una singola frequenza: 150 GHz. Forse, questo è stato il punto debole dell’esperimento BICEP2. A frequenze più alte sommerse dall’emissione dovuta alle polveri e a valori più bassi dove diventa importante la radiazione di sincrotrone, 150 GHz corrisponde ad un valore tale per cui la contaminazione risulta minima. Ma di solito quando si ha un singolo punto su una curva i dati possono essere falsi. Perciò, impossibilitati dal fatto di determinare direttamente la frazione del segnale associato alle polveri, gli scienziati si sono affidati a modelli già esistenti della contaminazione delle polveri distribuite nell’area di cielo da loro osservata, tra l’altro includendo dei dati che sono stati estratti in maniera non corretta da una mappa della distribuzione delle polveri realizzata da Planck e mostrata per sbaglio da un ricercatore durante una presentazione. Da questa mappa sbagliata, essi conclusero che la polvere avesse un contributo non superiore a 1/5 del segnale associato ai modi-B. Una volta eseguite le dovute correzioni e dopo che il gruppo di Planck pubblicò delle stime migliori, anche se preliminari, della distribuzione delle polveri interstellari, il gruppo di Harvard perfezionò i propri dati per supportare la loro ‘scoperta’.

La figura illustra tutto il cielo osservato da Planck (in due mappe), dove viene mostrata in falsi colori l’intensità del segnale dei modi-B dovuto alle polveri interstellari. Nell’immagine a destra, si nota il rettangolo che raffigura l’area di cielo osservata da BICEP2. Credit: Planck Collaboration

Erano, però, necessarie altre frequenze di osservazione. Dal 2009 al 2013, il telescopio spaziale a bordo del satellite Planck dell’ESA ha eseguito tutta una serie di misure su tutto il cielo nella banda delle microonde considerando sette frequenze, anche se con una sensibilità 100 volte inferiore a quella di BICEP2. Per eseguire l’analisi dei dati, i ricercatori di Planck hanno suddiviso il cielo in porzioni di dimensioni equivalenti a quella osservata da BICEP2 in modo da calcolare la quantità di modi-B presenti in ogni porzione di cielo a 353 GHz, una frequenza elevata dove l’emissione delle polveri domina il segnale della polarizzazione. Il contributo della luce dovuto all’emissione delle polveri era circa la metà di quello osservato da BICEP2 in certe porzioni di cielo, rendendole così non “pulitissime”. Tuttavia, Planck non è stato in grado di rivelare il debole segnale dei modi-B a 150 GHz, però conoscendo l’andamento dell’emissione della polvere in funzione della frequenza, i ricercatori lo hanno estrapolato. L’eccesso di emissione dovuto alle polveri dovrebbe produrre un segnale di polarizzazione dei modi-B così forte come quello rivelato da BICEP2, più o meno 1/3 dell’intensità di quel segnale. Ora, se da un lato il gruppo di Harvard ha assunto, grosso modo, di poter trovare una porzione di cielo dove il contributo dell’emissione della polvere sia basso, dall’altro i dati di Planck mostrano che non esistono regioni di cielo dove il contributo della polvere si può trascurare.

Calcolare esattamente la quantità di polarizzazione dei modi-B dovuta alla propagazione delle onde gravitazionali primordiali, se esistono, sarà argomento di analisi più approfondite. Se davvero c’è un ‘segnale primordiale’, la sua intensità, espressa da un parametro “r”, ci rivelerà la quantità di energia che è stata trasmessa nello spazio per guidare la sua espansione durante l’epoca dell’inflazione cosmica. Infatti, uno degli obiettivi dei fisici è quello di ricavare preziosi indizi sulla scala di energia dell’inflazione ma anche capire “perchè” essa sia avvenuta. Inoltre, i teorici vogliono sapere se il parametro “r” è maggiore o minore di 0,01, che rappresenta il punto di separazione tra due categorie di modelli denominati “large-field inflation” e “small-field inflation“. Forse, il primo modello potrebbe rivelarci i dettagli di una teoria unificata della gravità quantistica. Ora, se l’analisi dei dati iniziali di BICEP2 “fissa” il valore di r=0,2, che corrisponde ad alcuni “modelli inflazionistici a grande-campo”, i dati di Planck suggeriscono invece un valore più basso, vicino allo zero. Attualmente, ci sono almeno dieci esperimenti che hanno una sensibilità tale da rivelare i modi-B più deboli che hanno r=0,1. L’Atacama Cosmology Telescope, il South Pole Telescope e il sistema congiunto BICEP/Keck Array dovrebbero essere in grado di misurare i modi-B entro due o tre anni, assumendo che il segnale abbia un valore più grande di r=0,01. Inoltre, un esperimento tramite pallone sonda denominato SPIDER dovrebbe raggiungere una tale sensibilità. A coloro poi che criticano l’idea dell’inflazione cosmologica, l’estrema sensibilità di questi strumenti potrebbe rivelarsi una magra consolazione. Di fatto, la teoria è abbastanza adattabile al punto da sopravvivere ad una eventuale assenza di segnali associati ai modi-B, rendendoli così difficili da falsificare.

Insomma, pare proprio che il modello di Guth rimanga ancora l’ipotesi principale che ci permette di spiegare le primissime fasi primordiali della storia cosmica, immediatamente dopo il Big Bang, e lo sarà anche se il segnale misurato da BICEP2 “svanirà”, si fa per dire, nella polvere interstellare. Certamente, la conferma dell’esistenza di onde gravitazionali primordiali darebbe valore al modello inflazionistico risolvendo una volta per tutte il quadro teorico che descrive le origini dell’Universo. Una nuova analisi congiunta dei dati di Planck e BICEP2, attesa per il prossimo Novembre, dovrebbe dirci se i modi-B si possono considerare come se fossero “confusi” in quella porzione pulita, anche se non pulitissima, di cielo osservata dal telescopio del Polo Sud. Si spera, perciò, di poter porre un limite superiore al valore di “r” che fornisce una indicazione dell’intensità delle onde gravitazionali primordiali, se esistono in definitiva, direttamente dai dati e non dai modelli che descrivono la contaminazione dovuta alle polveri interstellari. Ciò che è certo rimane il fatto che BICEP2 ha rivelato un segnale ma se verrà confermato che si tratta di una contaminazione dovuta alle polveri ovviamente non avrà alcun significato cosmologico.

Quanta Magazine: ‘Big Bang Signal’ Could All Be Dust
Preposterous Universe: Planck Speaks: Bad News for Primordial Gravitational Waves?
arXiv: A joint analysis of Planck and BICEP2 B modes including dust polarization uncertainty
arXiv: Planck intermediate results. XXX. The angular power spectrum of polarized dust emission at intermediate and high Galactic latitudes