Planck vs BICEP2: nessuna traccia di onde gravitazionali primordiali

A dispetto di quanto pubblicato lo scorso mese di Marzo in merito alla presunta scoperta di un segnale rivelato da un esperimento condotto al Polo Sud e interpretabile come “evidenza indiretta dell’inflazione cosmica” le cui tracce sarebbero rimaste impresse nella radiazione cosmica di fondo (post), una recente analisi congiunta dei dati di Planck e degli esperimenti BICEP2 e Keck Array mostra che non esiste una prova conclusiva riconducibile alla rivelazione di onde gravitazionali primordiali.

Il campo magnetico osservato da Planck lungo il piano galattico. Credit: ESA/Planck Collaboration. Acknowledgment: M.-A. Miville-Deschênes, CNRS – Institut d’Astrophysique Spatiale, Université Paris-XI, Orsay, France

La radiazione cosmica di fondo, ossia la luce più antica che siamo in grado di osservare, emersa appena 380 mila anni dopo il Big Bang, rappresenta una straordinaria fonte di informazione che ci svela la storia primordiale dell’Universo. Il satellite Planck dell’ESA ha osservato questo fondo di radiazione sull’intero cielo con una accuratezza senza precedenti, fornendo agli scienziati tutta una varietà di dati che sono stati pubblicati nel corso degli ultimi due anni (Planck publications). Ma gli astronomi, si sa, vogliono andare oltre nella speranza di esplorare lo spazio ancora in profondità spingendosi sempre più indietro nel tempo: lo scopo è quello di rivelare un particolare segnale di importanza cosmologica che sia riconducibile all’inflazione cosmica, cioè quel brevissimo periodo di rapida espansione esponenziale, avvenuta subito dopo il Big Bang, che diede forma e volume al nostro Universo. Questo segnale è legato alla propagazione delle onde gravitazionali, minuscole fluttuazioni nel tessuto dello spaziotempo, che gli scienziati ritengono siano state generate durante la fase inflazionaria primordiale. Ancora più interessante è il fatto che tali perturbazioni dovrebbero lasciare una sorta di ‘impronta digitale’ su un’altra caratteristica della radiazione di fondo: la sua polarizzazione.

La ricerca dei modi-B

Quando lo onde luminose vibrano in una determinata direzione, diciamo che la luce è polarizzata. La radiazione cosmica di fondo è polarizzata e mostra una disposizione complessa. Ciò è dovuto alla combinazione di due ‘trame’ di base: una circolare e radiale (modi-E) e l’altra più arricciata (modi-B). Durante le fasi primordiali della storia cosmica, fenomeni diversi producono entrambi i modi-E e modi-B su scale angolari differenti, perciò identificare i vari contributi richiede misure estremamente precise. Tra i due modi in questione, quelli più interessanti e che mantengono il segreto dell’inflazione cosmica sono i modi-B. “La ricerca di questo particolare segnale è tanto complicata quanto eccitante, dato che si cela nella polarizzazione della radiazione cosmica che a sua volta rappresenta solo una debole percentuale della luce totale“, spiega Jan Tauber, ESA’s project scientist della missione Planck. Ma il satellite Planck non è da solo in questa impresa. Nei primi mesi del 2014, un altro gruppo di ricercatori presentò una serie di risultati basati sull’osservazione della polarizzazione della radiazione cosmica di fondo relativamente ad una porzione di cielo più piccola che è alcune volte più grande di quella sottesa dalla Luna piena: gli esperimenti sono stati condotti tra il 2010 e il 2012 al Polo Sud, utilizzando l’ormai famoso rivelatore BICEP2. Inoltre, lo stesso gruppo aveva utilizzato alcuni dati preliminari provenienti da un altro esperimento, sempre al Polo Sud, chiamato Keck Array. Gli scienziati ritennero di aver trovato qualcosa di sorprendente: i modi-B nella polarizzazione della radiazione di fondo. Il gruppo di BICEP2 presentò questi risultati dichiarando che si trattava di una “evidenza legata alla rivelazione di onde gravitazionali primordiali“, un fatto che non solo fece il giro del mondo ma che determinò tutta una serie di discussioni e confronti nella comunità scientifica oltre che nel grande pubblico. Tuttavia, c’è un un altro contendente che può produrre un simile effetto: la polvere interstellare della Via Lattea.

L’immagine mostra una porzione del cielo meridionale osservata da Planck nella regione delle microonde e sub-millimetrica. La scala di colore rappresenta l’emissione della polvere, una componente minore ma cruciale del mezzo interstellare che pervade la Via Lattea. La struttura a strisce indica l’orientamento del campo magnetico galattico ed è stata ricavata misurando la direzione della luce polarizzata emessa dalla polvere interstellare. La regione a centro contornata dalla linea bianca mostra la posizione della porzione di cielo che è stata osservata da BICEP2 e dal Keck Array, da cui si sarebbe rivelato il segnale associato ai modi-B primordiali che però l’analisi congiunta Planck/BICEP2/Keck ha dimostrato invece che è causato dalla polvere galattica. Inoltre, l’immagine mostra che l’emissione della polvere è più forte lungo il piano della Galassia (nella parte superiore della figura) anche se non può essere trascurata nelle altre regioni del cielo. La piccola nube, visibile in rosso, nella parte superiore a destra del campo di vista di BICEP2, mostra l’emissione della polvere dalla Piccola Nube di Magellano. L’immagine si estende per 60° su ogni lato. Credit: ESA/Planck Collaboration. Acknowledgment: M.-A. Miville-Deschênes, CNRS – Institut d’Astrophysique Spatiale, Université Paris-XI, Orsay, France.
La polvere interstellare

La nostra galassia è pervasa da una sorta di ‘miscela’ di gas e polvere che emette radiazione a frequenze simili a quelle della radiazione fossile. Perciò, questa emissione che si mostra “in primo piano”, detta tecnicamente di foreground, influenza le osservazioni della luce più antica. Dunque, occorre un’analisi molto accurata per separare l’emissione di foreground dal quella di fondo (o di background). Ma c’è un problema: la polvere interstellare emette luce polarizzata e di conseguenza influenza a sua volta la polarizzazione della radiazione di fondo. “Quando abbiamo rivelato per la prima volta questo segnale nei nostri dati, ci siamo basati sui modelli all’epoca disponibili che descrivono l’emissione della polvere galattica“, dice John Kovac, investigatore principale dell’esperimento BICEP2 presso l’Università di Harvard. “Questi modelli sembravano indicare che la regione di cielo scelta per le nostre osservazioni avesse un contributo associato alla polarizzazione della polvere molto più basso rispetto al segnale che abbiamo rivelato“.

L’analisi congiunta

I due esperimenti del Polo Sud (BICEP2 e Keck) hanno raccolto i dati ad una singola frequenza rendendo così difficile separare l’emissione della Galassia da quella di fondo. Invece, il satellite Planck ha osservato la radiazione di fondo su nove canali di frequenza (nella banda delle microonde e sub-millimetrica) sette dei quali erano stati forniti con rivelatori per lo studio della polarizzazione. Ora, eseguendo una attenta analisi, questi dati multi-frequenza possono essere usati per separare i vari contributi.

Grafico della variazione del segnale polarizzato dei modi-B in funzione del multipolo. I punti in nero, con le barre d’errore, mostrano il segnale originale relativo alla polarizzazione dei modi-B così come rivelato da BICEP2/Keck e che gli scienziati hanno attribuito alle onde gravitazionali primordiali. I punti blu, con le relative barre d’errore, mostrano lo stesso segnale una volta che è stata eliminata la componente dovuta alla polvere. La curva rossa ci dice che la polarizzazione dei modi-B è quella attesa non dalle onde gravitazionali primordiali ma dall’effetto del lensing gravitazionale, un segnale che è già noto. Nella parte a destra del grafico, si nota la presenza di un lieve eccesso di segnale per valori del multipolo dello spettro di potenza a partire da 200, ma non è statisticamente significativo. Credit: BICEP2/Keck and Planck Collaborations 2015

Il gruppo di BICEP2 scelse una porzione di cielo dove essi ritennero che l’emissione della polvere fosse bassa, interpretando così il segnale come di origine cosmologica. Tuttavia, man mano che venivano rese pubbliche le mappe di polarizzazione della polvere galattica realizzate da Planck, divenne chiaro che questo contributo di foreground sarebbe stato molto maggiore di quanto ci si aspettava. Infatti, nel Settembre del 2014, i dati di Planck suggerirono, per la prima volta, che l’emissione polarizzata della polvere è presente significativamente su tutto il cielo ed è perciò confrontabile con il segnale rivelato da BICEP2, anche nelle regioni più pulite, concludendo che si trattava di un “artefatto” sperimentale (post). A questo punto, i due gruppi (Planck e BICEP2) unirono le forze per elaborare i dati a varie frequenze in modo da discriminare il contributo della polvere galattica, aggiungendo all’analisi congiunta anche i dati di Keck che erano stati ottenuti tra il 2012 e il 2013. “Questo lavoro congiunto ha dimostrato che la rivelazione dei modi-B primordiali non è più assodata una volta che viene rimosso il contributo della polvere galattica“, afferma Jean-Loup Puget, investgatore principale dello strumento HFI di Planck presso l’Institut d’Astrophysique Spatiale in Orsay, Francia. “Dunque, sfortunatamente, non siamo stati in grado di confermare che il segnale fosse associato all’inflazione cosmica“.

La figura illustra il percorso dei fotoni della radiazione di fondo mentre vengono deviati dall’effetto del lensing gravitazionale causato dalle strutture cosmiche massive man mano che essi le attraversano prima di raggiungere la Terra. L’effetto della lente gravitazionale causa una ulteriore distorsione al segnale associato alle fluttuazioni di temperatura. Una piccola porzione della radiazione fossile è polarizzata: ad una componente di questa luce polarizzata (modi-B) viene impresso un ulteriore segnale dovuto al lensing gravitazionale. Questo segnale è stato trovato per la prima volta combinando i dati del Telescopio del Polo Sud e del satellite Planck dell’ESA. Credit: ESA/Planck Collaboration
Il lensing gravitazionale

In questo studio, è stata rivelata un’altra sorgente della polarizzazione dei modi-B, che risale alle fasi primordiali della storia cosmica, ma su una scala di cielo più piccola. Il segnale, scoperto inizialmente nel 2013, non rappresenta una prova diretta della fase inflazionaria ma è dovuto alla cosiddetta ‘rete cosmica‘ costituita da quelle strutture massive che popolano l’Universo e modificano la traiettoria dei fotoni della radiazione fossile nel loro tragitto verso la Terra. Questo effetto è chiamato lente gravitazionale dato che è causato da oggetti massivi che piegano, in accordo a quanto previsto dalla relatività generale, lo spazio circostante deflettendo la traiettoria dei raggi luminosi in modo simile ad una lente di ingrandimento. Questo segnale, ricavato combinando insieme i dati di Planck, BICEP2 e Keck, è ancora quello più forte e per quanto riguarda un suo collegamento con il periodo dell’inflazione cosmica la questione rimane aperta. “Se non abbiamo trovato alcuna evidenza di un segnale primordiale legato al passaggio delle onde gravitazionali presente nelle migliori mappe che disponiamo al momento della polarizzazione della radiazione cosmica di fondo, ciò non implica che la teoria dell’inflazione cosmica sia da scartare“, dichiara Reno Mandolesi, investigatore principale dello strumento LFI di Planck presso l’Università di Ferrara, in Italia. Di fatto, l’analisi congiunta pone un limite superiore all’intensità del segnale legato alle onde gravitazionali che sarebbero state generate durante l’inflazione cosmica ad un livello troppo basso per essere rivelate dalla presente analisi. “Questa analisi congiunta mostra che l’intensità del segnale primordiale associato alle onde gravitazionali non può essere superiore, probabilmente, a circa la metà del segnale osservato“, aggiunge Clem Pryke, dell’Università del Minnesota, uno degli investigatori principali dell’esperimento BICEP2. “Il nuovo limite superiore all’intensità del segnale dovuto alle onde gravitazionali primordiali è in buon accordo con il limite superiore che abbiamo ottenuto in precedenza con Planck dalle fluttuazioni della temperatura relative alla radiazione di fondo“, dice Brendan Crill, del Jet Propulsion Laboratory della NASA, membro sia del grupppo di Planck che di BICEP2. “Quel segnale primordiale che stiamo cercando potrebbe essere ancora là fuori, perciò la ricerca certamente continua“.

ESA: Planck: gravitational waves remain elusive
Paper: A Joint Analysis of BICEP2/Keck Array and Planck Data
Of Particular Significance: Dust Thou Art, BICEP2