L’immagine ottenuta con il telescopio Keck di 10m nelle Hawaii si riferisce alla regione dello spazio in cui si trova localizzato il quartetto di quasar. Gli oggetti si trovano circondati da una gigantesca nube di gas freddo e denso visibile come una sorta di nebbia bluastra. La nube si estende per un milione di anni-luce mentre il sistema dei quasar è situato a quasi 10 miliardi di anni-luce. Credit: Hennawi & Arrigoni-Battaia, MPIA
Simulation on the computer: The image is from the Phoenix project and shows a rich cluster dark matter halo which is simulated with 1.3 billion particles. The length across is 23 million light years on a side. Credit: The Phoenix Project
Uno degli obiettivi che riguarda lo studio dell’Universo delle origini è quello di capire come si sono formate le prime strutture cosmiche. Oggi riteniamo che le prime galassie si siano formate alcune centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang. Ci si chiede come mai le galassie hanno una diversa forma e struttura? Come si è evoluto l’Universo nel suo insieme? Per rispondere, in parte, a queste domande due gruppi di ricercatori tedeschi e cinesi che lavorano in partnership al Max Planck Institute for Astrophysics stanno utilizzando una serie di osservazioni e simulazioni per investigare l’evoluzione dell’Universo primordiale.
Secondo il modello cosmologico standard, l’Universo ebbe origine da una grande esplosione iniziale, il Big Bang, circa 13-14 miliardi di anni fa. Alcuni istanti dopo, l’Universo subì una rapida espansione, nota come inflazione, che diede forma, per così dire, allo spazio cosmico. Durante questo periodo, emersero minuscole fluttuazioni di energia che, successivamente, diedero luogo a tutte quelle strutture cosmiche che oggi possiamo ammirare sottoforma di galassie e ammassi di galassie. Nonostante questo modello sia in grado di descrivere in prima approssimazione l’evoluzione dell’Universo primordiale, nessuno è in grado di spiegare come hanno avuto origine queste fluttuazioni primordiali. Ma di recente, tre fisici avrebbero scoperto la chiave per risolvere questo enigma attraverso la formulazione di una teoria in cui la gravità dovrebbe mostrare lo stesso comportamento bizzarro basato sull’incertezza che regna nel mondo delle particelle subatomiche.
La cosmologia standard, che si basa sulla relatività generale, non è in grado di spiegare l’origine delle fluttuazioni dato che viene meno quando consideriamo scale molto piccole, tipiche del mondo degli atomi. Durante il brevissimo ed infinitesimale intervallo di tempo prima che avesse luogo l’inflazione, noto come era di Planck, l’intero Universo era compresso in una regione di spazio molti ordini di grandezza più piccola di quella che occupa un atomo. Se tentiamo di applicare la relatività a questa situazione, le sue previsioni non hanno più senso fisico dato che portano a valori infiniti della densità di energia. Dunque, per estendere i concetti di Einstein a queste situazioni estreme i ricercatori hanno sviluppato una teoria denominata loop quantum gravity. Sin dagli anni ’80, Abhay Ashtekar, attualmente alla Pennsylvania State University, trasformò in qualche modo le equazioni di Einstein per renderle compatibili nell’ambito della fisica quantistica. Ma ci fu un prezzo da pagare. Infatti, come conseguenza di questa manipolazione matematica si trovò che lo spazio non era più liscio, continuo e regolare, come nel caso del mondo infinitamente grande, ma consisteva di tante unità discrete, denominate loop o anelli, e che la sua struttura microscopica poteva fluttuare contemporaneamente tra tutta una serie di stati multipli. Nel corso degli ultimi anni, i fisici hanno dichiarato che se, e con un grande “se” dato che non abbiamo ancora evidenze sperimentali, la teoria della gravità quantistica a loop si dimostrerà corretta allora il Big Bang dovrebbe essere stato originato da un vero e proprio Big Bounce associato ad un precedente universo che si trovava nella fase di collasso gravitazionale. Oggi, però, Ashtekar e i suoi collaboratori sono convinti che questa tecnica, attraverso la quale è possibile estendere i concetti della relatività generale verso gli istanti primordiali della storia dell’Universo, possa riempire il divario tra il Big Bounce, cioè l’era di Planck, e il momento in cui ha origine l’inflazione non solo ma grazie ad essa è possibile spiegare anche la formazione di tutte quelle fluttuazioni senza le quali non si sarebbero formate nel corso del tempo le strutture cosmiche fino ad arrivare persino a noi stessi. Queste fluttuazioni primordiali sarebbero perciò la naturale conseguenza delle fluttuazioni quantistiche che esistevano già all’epoca del Big Bounce. “I nostri risultati forniscono una estensione autoconsistente dell’inflazione fino alla scala di Planck” dichiara Ashtekar. “Il fatto che la gravità quantistica abbia lasciato oggi una sorta di ‘impronta digitale’ sulle strutture cosmiche è alquanto sorprendente ed elegante” dichiara Jorge Pullin della Louisiana State University, un esperto di gravità quantistica a loop e buchi neri. Neil Turok, direttore del Perimeter Institute for Theoretical Physics in Ontario, afferma invece che i ricercatori hanno bisogno di introdurre tutta una serie di “assunzioni artificiose” per poter procedere indietro nel tempo dal momento in cui avviene l’inflazione fino a epoche più remote. “La gravità quantistica a loop è interessante”,dice Turok, “ma non si tratta ancora di una vera e propria teoria e perciò bisogna stare attenti a non prendere sul serio certe sue predizioni”.
Un gruppo internazionale di astronomi, guidati dai colleghi dall’Università di Lancashire (UCLan), hanno rivelato la struttura cosmica più grande mai osservata. Detta tecnicamente Large Quasar Group (LQG) si tratta di una struttura così grande che si impiegherebbe circa 4 miliardi di anni a percorrerla viaggiando con una navicella spaziale alla velocità della luce.
E’ noto che i quasar sono i nuclei di galassie appartenenti alle epoche primordiali della storia cosmica. Di tanto in tanto, essi esibiscono una intensa luminosità per brevi periodi di tempo, con intervalli di circa 10-100 milioni di anni, che li rende visibili a grandi distanze. Dal 1982, si sa che i quasar tendono a raggrupparsi formando delle strutture di dimensioni sorprendentemente enormi in termini astronomici che sono state denominate LQG. I ricercatori, guidati da Roger Clowes del UCLan’s Jeremiah Horrocks Institute, hanno identificato una struttura di questo tipo talmente enorme che sta creando una certa preoccupazione in termini del principio cosmologico: l’assunzione cioè che l’Universo, quando viene osservato su larga scala, appare mediamente uguale in tutte le direzioni. Ora, il modello cosmologico standard si basa sulla relatività generale di Einstein che dipende dal principio cosmologico, un principio che è stato assunto teoricamente ma che non è mai stato dimostrato osservativamente “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Per dare una idea della scala di distanza, la Via Lattea dista dalla vicina Andromeda circa 0,75 Mpc (Megaparsec), che sono equivalenti a circa 2,5 milioni di anni-luce. Un intero ammasso di galassie può estendersi per circa 2-3 Mpc ma le strutture LQG possono arrivare fino a 200 Mpc o più. Secondo il principio cosmologico e l’attuale modello standard della cosmologia moderna, i calcoli suggeriscono che non esisterebbero strutture più grandi di 370 Mpc. Ma la struttura in esame scoperta di recente ha una dimensione di circa 500 Mpc e dato che è allungata essa si estende per almeno 1200 Mpc, cioè 4 miliardi di anni-luce, pari a 1600 volte maggiore della distanza che separa la Via Lattea da Andromeda. “Si tratta della struttura più grande mai osservata” dichiara Clowes. “E’ qualcosa di sorprendente e affascinante allo stesso tempo anche perché va contro le nostre concezioni sulla scala delle distanze cosmologiche”. Dunque, il passo successivo sarà quello di vedere se esistono altre strutture di queste dimensioni in modo da ottenere ulteriori indizi sulla loro formazione ed evoluzione.
Onde ben localizzate che emergono e scompaiono senza dissipare energia, note come “oscilloni”, potrebbero aver dominato l’Universo primordiale subito dopo la fase inflazionistica. E’ quanto emerge da studi recenti condotti da alcuni fisici del MIT, dell’Università di Yale e dall’Università di Stanford che hanno realizzato una serie di simulazioni basate su diversi modelli inflazionistici. I risultati suggeriscono la formazione di una notevole quantità di oscilloni che potrebbero aver causato la formazione di ulteriori effetti gravitazionali durante le fasi iniziali della storia evolutiva dell’Universo, anche se non è ancora chiaro il fatto che tali effetti possano essere osservati direttamente oggi.
Così come viene spiegato nel loro articolo, queste onde denominate oscilloni sono eccitazioni massicce, di lunga durata, di un campo scalare e sono ben localizzate cioè non si disperdono come le solite perturbazioni prodotte dalla caduta, ad esempio, di un sasso in uno stagno. La particolarità di queste fluttuazioni è che esse possono essere presenti, in questo caso hanno la forma di una collina, o assenti, in questo caso hanno la forma di un cratere, mantenendo sempre lo stato del campo spazialmente uniforme. Inoltre, è stato notato che se non vengono disturbati, gli oscilloni possono continuare ad emergere e a scomparire oscillando per centinaia di migliaia di volte. Ma il risultato più importante che emerge dalle simulazioni è che il periodo successivo all’inflazione, cioè la fase di rapida espansione esponenziale che accadde subito dopo il Big Bang, viene seguito da una fase di auto-risonanza che genera un grande numero di oscilloni. E’ come se alla fine del periodo inflazionistico l’energia del campo inflatone, cioè il campo che ha causato l’inflazione producendo uno stato di oscillazione sincronizzata ed omogenea, andasse a frammentarsi formando tanti piccoli stati instabili e disomogenei: è proprio questo passaggio che i fisici chiamano auto-risonanza. Infine, le simulazioni suggeriscono che gli oscilloni sarebbero esistiti per un tempo necessario affinchè il volume di spazio aumentasse di un fattore 100 o, forse, più. Questo periodo dominato dalla presenza degli oscilloni potrebbe alterare la nostra visione dell’Universo tra l’epoca in cui termina l’inflazione e quella in cui diventa dominante la radiazione elettromagnetica. Infine, gli scienziati hanno trovato che questa fase dominata dagli oscilloni primordiali avrebbe influito anche sulle fluttuazioni di densità accelerando, per così dire, con la comparsa di nuovi effetti gravitazionali quei processi che portarono alla formazione delle prime strutture cosmiche.