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La formazione stellare nelle galassie attive

La radiosorgente brillante 3C 219. L’oggetto al centro dell’immagine (color blu) è il suo nucleo attivo che viene alimentato dall’attività del buco nero supermassiccio. In rosso è mostrata l’emissione radio estesa. Le osservazioni in banda infrarossa di un campione completo di oggetti simili, che hanno un’età di circa 7 miliardi di anni, indicano che l’attività nucleare domina la luminosità della galassia, sebbene la formazione stellare sia attiva. Credit: NRAO and Parijskij et al.

Un gruppo di astronomi del Center for Astrophysics (CfA) di Harvard, ha utilizzato il telescopio spaziale Herschel per analizzare l’emissione infrarossa di 64 sorgenti radio/X brillanti che hanno un nucleo attivo e una massa stellare pari a più di 100 miliardi di masse solari. Lo scopo era quello di determinare quanta luminosità osservata in queste galassie è dovuta all’attività del nucleo attivo rispetto a quella causata dai processi di formazione stellare. La radiazione infrarossa è emessa dalla polvere che viene riscaldata da questi due processi e i dettagli dell’emissione, come ad esempio la sua temperatura tipica, possono fornire delle indicazioni importanti sui contributi relativi ai due processi. Continua a leggere La formazione stellare nelle galassie attive

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Quattro quasar vicini vicini

L’immagine ottenuta con il telescopio Keck di 10m nelle Hawaii si riferisce alla regione dello spazio in cui si trova localizzato il quartetto di quasar. Gli oggetti si trovano circondati da una gigantesca nube di gas freddo e denso visibile come una sorta di nebbia bluastra. La nube si estende per un milione di anni-luce mentre il sistema dei quasar è situato a quasi 10 miliardi di anni-luce. Credit: Hennawi & Arrigoni-Battaia, MPIA

Grazie ad una serie di osservazioni condotte con l’Osservatorio Keck nelle Hawaii, un gruppo di astronomi guidati da Joseph Hennawi del Max Planck Institute for Astronomy (MPIA) hanno scoperto il primo sistema multiplo composto da quattro quasar, una rara combinazione di buchi neri che risiedono nei nuclei di galassie attive, situati in prossimità l’uno vicino all’altro. Continua a leggere Quattro quasar vicini vicini

Hubble scopre il gigantesco alone galattico di Andromeda

Gli astronomi hanno scoperto che il gigantesco alone di gas che circonda la vicina galassia Andromeda è circa sei volte più grande e almeno mille volte più massiccio rispetto alle misure precedenti. L’alone scuro, quasi invisibile, si estende per circa un milione di anni-luce dalla galassia, a metà strada con la nostra galassia. Questi risultati sono alquanto promettenti perché gettano più luce sull’evoluzione e la struttura delle maestose e gigantesche galassie a spirale che sono le più comuni nell’Universo. I risultati su Astrophysical Journal.

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Misteriosi quasar ‘fantasmi’

Grazie ad una serie di osservazioni realizzate con il telescopio spaziale Hubble, gli astronomi hanno fotografato otto strutture insolite, una sorta di “fantasmi” di quasar. Questi oggetti orbitano attorno alle proprie galassie e mostrano un color verde brillante. I risultati di queste osservazioni verranno pubblicati su Astronomical Journal. Continua a leggere Misteriosi quasar ‘fantasmi’

Due super buchi neri vicini vicini

Un gruppo di astronomi guidati da Tingting Liu dell’Università del Maryland (UMD) ha rivelato un segnale ad impulsi che sembra provenire da un sistema binario in cui si trovano due buchi neri supermassicci. I risultati sono pubblicati su Astrophysical Journal Letters.

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L’allineamento dei quasar lungo la rete cosmica

Una serie di osservazioni realizzate con il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO hanno permesso di rivelare che gli assi di rotazione dei buchi neri supermassicci di un insieme di quasar sono paralleli gli uni agli altri su distanze che raggiungono i miliardi di anni luce. Inoltre, gli astronomi hanno trovato che l’asse di rotazione tende ad essere allineato con le vaste strutture della rete cosmica in cui essi risiedono.

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Che cosa illuminò il cosmo?

Che cosa produce più luce? Una città molto grande o più città minori? Certo, le città più grandi producono più luce ma è anche vero che i paesi piccoli sono più numerosi. Dunque, se capiamo come è distribuita la luminosità, allora saremo in grado di avere maggiori indizi, ad esempio, su come è strutturata una nazione. E’ quanto si stanno domandando, analogamente, gli astronomi in merito alla struttura dell’intero Universo: è possibile che la radiazione ultravioletta provenga da numerose galassie deboli o, invece, essa è correlata a un numero inferiore di quasar? Continua a leggere Che cosa illuminò il cosmo?

SDSS, l’Universo degli ultimi sei miliardi di anni

Una collaborazione tra un gruppo di astronomi della Sloan Digital Sky Survey (SDSS) e della Pennsylvania State University, ha permesso di ottenere una nuova mappa dell’Universo che copre più di un quarto dell’intero cielo. La mappa è ricca di così tanti dettagli che occorrerebbero 500 mila TV ad alta definizione per vederla nella sua interezza. La mappa, che è caratterizzata da più di un triliardo di pixel, è stata realizzata grazie alle osservazioni raccolte negli ultimi dieci anni. Essa ci mostra, con dettagli senza precedenti, la distribuzione delle stelle, delle galassie e dei quasar e ci permette di tracciare la loro evoluzione nel corso del tempo cosmico relativamente agli ultimi sei miliardi di anni. Inoltre, osservando il modo con cui le galassie si raggruppano gli astronomi possono ricavare almeno due informazioni: la prima riguarda il grado di addensamento delle galassie da cui possiamo capire indirettamente come l’Universo si è espanso nel corso del tempo; da questa prima informazione possiamo calcolare qual è il contenuto di materia presente nell’Universo e quindi risalire alle componenti principali quali la materia scura, l’energia scura e la materia ordinaria. Nonostante la mappa copra una enorme area di cielo essa offre indizi anche sulle piccole scale cosmiche: l’Universo è di fatto pieno di triliardi di piccole particelle, i neutrini, che sono il prodotto delle reazioni nucleari che si hanno nelle stelle. Studiare queste particelle è di fondamentale importanza per determinare la loro massa e porre così ulteriori limiti al suo valore.

arXiv: Clustering of Sloan Digital Sky Survey III Photometric Luminous Galaxies: The Measurement, Systematics and Cosmological Implications
arXiv: New Neutrino Mass Bounds from Sloan Digital Sky Survey III Data Release 8 Photometric Luminous Galaxies

La ricerca di nuovi modelli per spiegare i quasar

Un professore di astrofisica presso l’Università della California a Santa Barbara, Robert Antonucci, spiega in un articolo apparso su Nature come sia arrivata la necessità di sviluppare nuovi modelli per descrivere più in dettaglio il fenomeno delle radiosorgenti quasi-stellari, meglio note come quasar. Dopo oltre cinquant’anni di studi, questo meccanismo che genera una enorme quantità di energia non è stato ancora completamente interpretato e rimane un mistero.

I quasar sono sistemi galattici estremamente luminosi e possono essere osservati da enormi distanze cosmiche. Sebbene gli scienziati siano generalmente d’accordo sul fatto che questi oggetti compatti siano caratterizzati dalla presenza di un buco nero supermassiccio, non si conosce molto su di essi. Antonucci spiega come nonostante sia stata fatta tanta ricerca, non esistano ancora ‘buoni’ modelli che descrivano come essi producano questa enorme quantità di energia e perciò non c’è modo di prevedere il loro comportamento o la loro evoluzione. Forse, scherzandoci sopra, sarà molto più probabile incontrare prima uno “scienziato alieno” che ci spieghi eventualmente come funzionano i quasar. In realtà, Antonucci è convinto che non sia impossibile costruire un nuovo modello che spieghi il fenomeno quasar ma occorrerà certamente un grande sforzo per spingere la ricerca verso la costruzione di metodi di calcolo e di elaborazione dati innovativi che saranno acquisiti dai telescopi spaziali più sensibili di nuova generazione per studiare sempre più in dettaglio questi oggetti. Inoltre, dato che i quasar sono osservabili da grandi distanze, essi offrono una possibilità unica per esplorare le regioni più remote dell’Universo rispetto a qualsiasi altro oggetto. Per questo motivo, diventa fondamentale studiarli in modo da comprenderne al meglio la loro fenomenologia. Il modello attuale suggerisce che la presenza di getti relativistici, osservabili nella banda radio, e l’enorme quantità di energia emessa, implicano la presenza di un buco nero supermassiccio nel nucleo dei quasar. Tuttavia, non conosciamo i dettagli del loro funzionamento che rimane ancora un enigma astrofisico.

La temperatura dell’Universo di ‘mezza età’

Grazie ad una serie di osservazioni condotte con il complesso CSIRO Australia Telescope Compact Array nei pressi di Narrabri, un gruppo internazionale di astronomi sono stati in grado di determinare la temperatura dell’Universo risalente all’epoca in cui si era espanso di circa il 50% rispetto allo stato attuale.

“Si tratta della misura più precisa mai realizzata” spiega Robert Braun a capo della struttura CSIRO Astronomy and Space Science. Dato che la luce impiega un tempo finito per propagarsi nello spazio, sappiamo che quando osserviamo l’Universo guardiamo gli oggetti come erano nel passato. Dunque, come facciamo a misurare la temperatura dello spazio quando l’Universo aveva una età di circa 7 miliardi di anni? Per fare questo, gli astronomi hanno analizzato una nube di gas presente in una galassia che si trova a circa 7,2 miliardi di anni fa. L’unica sorgente che ha mantenuto ‘caldo’ il gas è stata la radiazione cosmica di fondo, cioè quella radiazione fossile emersa in seguito alla grande esplosione iniziale che ha dato origine all’Universo. Per fortuna, dietro questa galassia dove si trova il gas esiste un potente quasar denominato PKS 1830-211. Le onde radio provenienti dal quasar attraversano la nube facendo sì che le molecole del gas assorbono parte dell’energia e questo processo lascia una sorta di ‘impronta digitale’ delle onde radio. L’analisi di queste ‘impronte’ ha permesso agli scienziati di calcolare la temperatura del gas che è pari a -267,92 Celsius (5,08 Kelvin), un valore estremamente basso ma ancora ‘tiepido’ rispetto all’attuale temperatura media dell’Universo che è di -270,27 Celsius (2,73 Kelvin). Secondo il modello cosmologico standard, sappiamo che la temperatura della radiazione cosmica di fondo diminuisce in maniera regolare man mano che lo spazio si espande. “Ciò è quello che vediamo nelle nostre misure. L’Universo di qualche miliardo di anni fa era più caldo di quello di oggi, esattamente come previsto dal modello del Big Bang” conclude Sebastien Muller dell’Onsala Space Observatory presso la Chalmers University of Technology in Svezia.

CSIRO press release: CSIRO telescope takes temperature of Universe

arXiv: A precise and accurate determination of the cosmic microwave background temperature at z=0.89