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L’origine dell’acqua nel Sistema Solare

Tutti sappiamo che l’acqua è di fondamentale importanza per lo sviluppo della vita sulla Terra ma è altrettanto importante per valutare la possibilità che la vita aliena si possa sviluppare su altri mondi. Identificare, perciò, la sorgente originaria di acqua sul nostro pianeta rappresenta una chiave di svolta non solo per capire come le condizioni ambientali nel corso del tempo sono state favorevoli per permettere l’evoluzione degli esseri viventi, ma anche per esplorare come questi processi possano esistere altrove nello spazio. Oggi, un nuovo studio condotto da un gruppo di ricercatori guidati da L. Ilsedore Cleeves della University of Michigan suggerisce che gran parte dell’acqua presente nel Sistema Solare si è originata con ogni probabilità sottoforma di ghiaccio presente nello spazio interstellareContinua a leggere L’origine dell’acqua nel Sistema Solare
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LUNA riproduce la nucleosintesi del litio

Uno dei problemi ancora aperti dell’astrofisica riguarda la questione del litio. Infatti, la quantità di litio prevista nelle stelle non è quella che ci aspettiamo (post1; post2). Nonostante ciò, i calcoli sono esatti, così come è stato confermato per la prima volta da un esperimento recente condotto presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso che ha permesso di calcolare la percentuale di litio che si produce sotto certe condizioni estreme, come quelle che hanno caratterizzato, appunto, il Big Bang. Continua a leggere LUNA riproduce la nucleosintesi del litio

Un test per verificare l’equivalenza massa-energia nello spazio

Lo scienziato russo Andrei Lebed dell’Università dell’Arizona ha sorpreso la comunità dei fisici presentando una idea alquanto sorprendente che deve essere ancora verificata sperimentalmente: la famosa formula di Einstein dell’equivalenza massa-energia, E = mc2, potrebbe variare in funzione della posizione dell’osservatore nello spazio.

Per quanto triste a dirsi, la storia ci ha comunque insegnato che le esplosioni delle bombe atomiche hanno permesso di verificare uno dei più importanti principi della fisica: energia e massa sono la stessa cosa e possono essere convertite l’una nell’altra. Ciò fu dimostrato da Albert Einstein nella teoria della relatività speciale ed espresso nell’ormai famosa equazione dell’equivalenza massa-energia, E = mc2, dove “E” indica l’energia, “m” la massa e “c” la velocità della luce. Nonostante i fisici abbiano validato l’equazione di Einstein grazie ad una serie di numerose verifiche sperimentali, utilizzando persino i cellulari e i sistemi di navigazione GPS, Andrei Lebed è convinto che la relazione di equivalenza massa-energia potrebbe dipendere dalla posizione in cui ci troviamo nello spazio. L’idea che sta alla base del suo pensiero parte dal concetto stesso di massa. Secondo le nozioni attuali, non c’è alcuna differenza tra la massa inerziale e quella gravitazionale, cioè il “peso”, di un determinato oggetto. Il principio di equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale, introdotto inizialmente da Galileo nella fisica classica e successivamente da Einstein nella fisica moderna, è stato confermato con una precisione elevata. “Tuttavia, secondo i miei calcoli trovo che oltre una certa probabilità esiste, seppur piccola, una chance reale che l’equazione venga meno per la massa gravitazionale”, dichiara Lebed. Se si misura il peso di un oggetto quantistico, come ad esempio l’atomo di idrogeno, molto spesso il risultato sarà lo stesso nella maggior parte dei casi, ma una piccolissima parte di quelle misure darà un risultato diverso implicando una violazione apparente dell’equazione di Einstein. Questo risultato, che ha sorpreso i fisici sperimentali, potrebbe essere spiegato ammettendo che la massa gravitazionale non sia effettivamente la stessa di quella inerziale, il che rappresenta un paradigma per la fisica. “La maggior parte dei fisici non è d’accordo su questo concetto perché ritengono che la massa inerziale sia esattamente uguale a quella gravitazionale”, spiega Lebed. “Ma dal mio punto di vista, le due masse potrebbero essere diverse per la presenza di qualche effetto quantistico presente nella relatività generale. Per quanto ne sappia io, nessuno ha mai proposto prima questo esperimento. Il problema più importante della fisica moderna è quello di formulare una teoria che sia in grado di descrivere tutte le forze della natura. In altre parole, bisogna capire come unificare la meccanica quantistica relativistica con la gravità. Io sto cercando di trovare una relazione tra gli oggetti quantistici e la relatività generale”.

Per capire il ragionamento di Lebed, dobbiamo partire dalla gravità. Lo scienziato dimostra, in uno dei suoi articoli, che mentre l’equazione E = mc2 vale ancora per la massa inerziale, essa invece non è sempre vera per la massa gravitazionale, il che implicherebbe che le due masse non sono in definitiva uguali. Secondo la teoria di Einstein, sappiamo che la forza di gravità è il risultato della curvatura dello spaziotempo: più grande è la massa di un corpo celeste e maggiore sarà la curvatura dello spazio. “Dunque, lo spazio ha una curvatura e quando la massa si muove nello spazio, la curvatura disturba il moto”. Secondo Lebed, la curvatura dello spazio è ciò che rende differente la massa gravitazionale da quella inerziale. Per verificare questa ipotesi, lo scienziato suggerisce allora di misurare il peso dell’atomo più semplice che esiste in natura: un singolo atomo d’idrogeno, che consiste di un nucleo composto da un protone attorno al quale orbita un elettrone. Ora, dato che l’effetto da misurare è molto piccolo, sarà necessario considerare tantissimi atomi di idrogeno.


Questa è l’idea: Occasionalmente accade, anche se raramente, che l’elettrone in orbita attorno al nucleo salta verso un livello di energia più alto, che si può immaginare come una orbita più esterna. Ma nel giro di poco tempo, l’elettrone ritorna nell’orbita iniziale di minima energia. Ora, secondo l’equazione di Einstein, la massa dell’atomo di idrogeno cambierà in funzione della variazione di energia, passando da un livello ad un altro. Finora, tutto bene. Ma che succede se poniamo lo stesso atomo di idrogeno nello spazio, dove non c’è più la gravità e quindi lo spazio diventa piatto anziché essere curvo come è nel caso in cui ci troviamo sulla Terra? Probabilmente l’avete già immaginato: l’elettrone non salterà più su un orbita più esterna di energia più elevata poiché nello spazio in assenza di gravità esso rimane confinato nella sua orbita di minima energia. In altre parole, l’elettrone “non sente”, per così dire, la presenza della gravità. Viceversa, se ci spostiamo nuovamente verso il campo gravitazionale terrestre, l’elettrone risentirà dell’effetto della curvatura dello spazio, quindi potrà saltare verso una orbita più esterna e di conseguenza la massa dell’atomo di idrogeno risulterà diversa.


Gli scienziati hanno eseguito una serie di misure dei livelli di energia qui sulla Terra, ma questo non ci dà nulla dato che la curvatura dello spazio rimane costante e perciò non c’è alcuna perturbazione”, dice Lebed. “Ciò che non hanno considerato prima è come la variazione dei livelli di energia dipenda, invece, dalla curvatura dello spazio che disturba l’atomo. Anziché misurare direttamente il peso, dovremmo rivelare queste variazioni di energia sottoforma di fotoni emessi, essenzialmente luce”. Lebed suggerisce inoltre l’esperimento seguente per verificare questa ipotesi: per un determinato periodo di tempo, si invia nello spazio una sonda contenente un recipiente fornito d’idrogeno e un fotorivelatore sensibile. Nello spazio, la relazione di equivalenza massa-energia è la stessa per l’atomo ma solo per il fatto che l’assenza di curvatura dello spazio non permette all’elettrone di saltare da un livello ad un altro. “Quando siamo vicini alla Terra, la curvatura dello spazio disturba l’atomo e perciò esiste una probabilità che l’elettrone salti da un livello all’altro, emettendo così un fotone che viene osservato dal rivelatore”. In questo modo, l’equivalenza massa-energia non è più costante sotto l’influenza del campo gravitazionale. Secondo Lebed, la sonda non dovrebbe andare molto lontano nello spazio e a circa due o tre volte il raggio terrestre l’effetto dovrebbe già registrarsi. In sostanza, si tratta della prima proposta sperimentale di verificare i concetti della meccanica quantistica con quelli della relatività generale nell’ambito del Sistema Solare. “Non ci sono esempi diretti di un ‘matrimonio’ tra queste due teorie”, spiega Lebed. “Ciò è importante non solo dal punto di vista del fatto che la massa gravitazionale non sia uguale a quella inerziale, ma anche per il fatto che molti fisici vedono questo matrimonio come un qualcosa di mostruoso e incompatibile. Mi piacerebbe verificare la fattibilità di questo matrimonio. Voglio verificare se funziona oppure no”, conclude Lebed.

Lebed ha presentato i suoi calcoli durante il meeting di Stoccolma, Marcel Grossmann Meeting, la scorsa estate dove la comunità di fisici ha accolto le sue idee con uguale curiosità e scetticismo.

University of Arizona press release: Testing Einstein's E=mc2 in Outer Space

arXiv: Is Gravitational Mass of a Composite Quantum Body Equivalent to its Energy?

arXiv: Breakdown of the Equivalence between Energy Content and Weight in a Weak Gravitational Field for a Quantum Body

arXiv: Breakdown of the Equivalence between Passive Gravitational Mass and Energy for a Quantum Body

L’isotopo più importante per l’origine della vita

E’ a tutti noto che sin dalla sua nascita, l’Universo si sta espandendo e continua ad evolversi formando strutture sempre più complesse a partire dalle particelle elementari. Oggi, un gruppo di fisici teorici hanno ottenuto nuovi indizi in merito ad una reazione nucleare che risulta di fondamentale importanza per l’origine della vita come noi la conosciamo.

Noto come processo 3-alpha, questa reazione nucleare è responsabile dell’abbondanza dell’elemento carbonio presente nell’Universo. Per diversi anni, il meccanismo fisico mediante il quale le stelle emettono luce è stato compreso attraverso un processo a due fasi. Di recente, alcuni fisici hanno rivisto questo processo per analizzare il meccanismo più da vicino dietro il quale si cela la presenza dell’isotopo più importante per la vita: il carbonio-12. In particolare, gli scienziati si sono trovati ad affrontare un problema relativo al tasso di produzione del carbonio-12 a basse temperature. I calcoli che sono stati ottenuti in precedenza dal gruppo di ricercatori guidato da Kazuyuki Ogata, un professore di fisica nucleare della Kyushu University in Fukuoka nel Giappone, indicano che le stelle evolvono così rapidamente che non riescono a raggiungere la fase di gigante rossa. Ma questo, di fatto, non è vero in quanto lo spazio è pieno di numerosissime stelle che si trovano in questa fase avanzata dell’evoluzione stellare. Dunque c’è un problema probabilmente associato ai metodi utilizzati. Sappiamo che il carbonio è il quarto elemento più abbondante nell’Universo e l’isotopo carbonio-12 è la sua forma più comune. Caratterizzato da 6 protoni e 6 neutroni, questo nucleo molto semplice rappresenta la base di tutta la vita, almeno come noi la conosciamo. Tuttavia, i processi che determinano la formazione di questo isotopo e la sua abbondanza non sono così semplici. Di fatto, una frazione di secondo dopo il Big Bang, i quark e i gluoni si unirono per formare protoni e neutroni. Appena tre minuti più tardi, apparvero i primi nuclei di idrogeno e di elio. Ma deve passare almeno un milione di anni prima che gli elettroni formino atomi neutri e circa duecento milioni di anni affinchè appaiano le prime stelle. All’interno del calderone stellare, i protoni iniziarono a combinarsi in nuclei di elio attraverso una sequenza di reazioni nucleari. Dopo, però, tali processi nucleari ebbero un periodo di arresto. Ad esempio, se aggiungiamo un singolo protone all’atomo di elio, otteniamo litio-5, un isotopo che non esiste in natura. Se due nuclei di elio fondono, si ottiene berillio-8, un altro nucleo che non esiste in accordo alle leggi della fisica nucleare. Chiaramente, le stelle continuarono la loro evoluzione, creando tutti gli elementi possibili che vediamo oggi. Ma allora la domanda è: come è possibile? Questo puzzle ha tenuto impegnati gli scienziati per diversi anni perché se non siamo in grado di spiegare l’abbondanza di carbonio-12, diventa quasi impossibile spiegare come si sia formato l’Universo. La risposta deriva dalla reazione 3-alpha che coinvolge tre nuclei di elio. Nonostante il berillio-8 decada dopo qualche nanosecondo, nel caso in cui la stella sia abbastanza calda, una terza particella alpha si fonde con questo isotopo. E dato che l’energia di un nucleo di berillio-8 sommata all’energia di una particella alpha è quasi equivalente a quella dell’isotopo di carbonio-12, si crea una risonanza del processo nucleare che causa un incremento al tasso di produzione del carbonio-12. Tuttavia, c’è un altro modo per cui le stelle sono in grado di produrre carbonio-12. A basse temperature, quando l’energia non è ancora sufficiente per dar luogo al processo di risonanza, l’isotopo carbonio-12 può essere prodotto attraverso la fusione simultanea di tre particelle alpha. Il gruppo di Kyushu è stato così in grado di ottenere previsioni teoriche più adeguate del tasso di produzione del carbonio-12 che sono in accordo con i modelli precedenti nel caso di temperature elevate. A temperature più basse, i loro risultati suggeriscono un incremento del tasso di produzione del carbonio-12 pari a circa 10 trilioni di volte maggiore rispetto alle stime precedenti. Insomma, i nuovi calcoli permettono ancora l’esistenza delle stelle giganti che sono quindi salve. Ora si spera che in futuro queste previsioni possano fornire nuovi scenari che riguardano alcuni problemi astrofisici ancora irrisolti e che riguardano le stelle novae e le supernovae.

ArXiv: Low-Temperature Triple-Alpha Rate in a Full Three-Body Nuclear Model

Dalle onde radio nuovi indizi sulla ‘prima luce’ dell’Universo

All’inizio non c’era alcuna luce, e poi fu il Big Bang! Già, di fatto il Big Bang creò il nostro Universo 13,7 miliardi di anni fa, ma subito dopo lo spazio fu dominato dall’oscurità. Dalle osservazioni della radiazione cosmica di fondo, gli astronomi hanno ipotizzato che alcune centinaia di milioni di anni dopo la nascita dell’Universo, la gravità assemblò gli atomi diidrogeno e di elio per formare le prime nubi di gas. L’energia liberatasi durante questo processo surriscaldò alla fine le nubi mettendo in moto una catena di eventi che portarono alla nascita delle prime stelle. Nonostante la transizione tra la cosiddetta “età scura” e la nascita delle prime stelle e delle prime galassie potrebbe spiegare l’origine e l’evoluzione di molti corpi celesti, tuttavia gli astronomi conoscono ancora molto poco circa questa fase dell’evoluzione cosmica.

Di recente, due astronomi hanno condotto un esperimento per cercare di capire qualcosa di più circa questo periodo di transizione, noto come epoca della reionizzazione (Epoch Of Reionization, EOR). Ora, dato che è impossibile identificare la radiazione associata alle galassie primordiali, Alan Rogers del MIT Haystack Observatory e Judd Bowmann dell’Arizona State University si sono concentrati sulla ricerca delle onde radio che sono state emesse dall’idrogeno primordiale all’epoca presente nelle nasciture galassie. Alcune onde radio stanno, di fatto, raggiungendoci oggi e perciò esse potrebbero trasportare qualche informazione relativa al periodo dell’EOR. Appena le prime stelle cominciarono a formarsi durante l’epoca EOR, la loro radiazione ultravioletta eccitò gli atomi d’idrogeno più vicini, liberando gli elettroni e dando loro una carica positiva. Questo processo, noto comeionizzazione, è importante in cosmologia dato che segna un momento fondamentale nel periodo di transizione tra l’Universo primordiale, che conteneva solo idrogeno ed elio, e l’Universo di oggi dove osserviamo pianeti, stelle e galassie. Determinare esattamente quando, e per quanto tempo, questo processo di ionizzazione sia avvenuto costituisce un passo importante per confermare o modificare gli attuali modelli sull’evoluzione dell’Universo. I dati delle analisi indicano che ci sono voluti almeno 5 milioni di anni prima che l’idrogeno diventasse un gas ionizzato. E’ una grande coincidenza il fatto che la nascita delle prime stelle e delle prime galassie abbia richiesto la stessa quantità di tempo, o forse più, per diventare successivamente i corpi celesti che vediamo oggi come stelle e galassie.