Archivi tag: gas intergalattico

M 106, fuochi d’artificio da un buco nero in una galassia vicina

È quanto stanno osservando i telescopi spaziali Spitzer, Chandra e Herschel nella vicina galassia a spirale Messier 106, nota anche come NGC 4258 che si trova a circa 23,5 milioni di anni-luce visibile anche con un binocolo nella costellazione dei Cani da Caccia. Getti relativistici che emergono dalle regioni nucleari dove risiede un buco nero supermassiccio stanno riscaldando il materiale galattico facendolo brillare, per così dire, come un fuoco d’artificio. Continua a leggere M 106, fuochi d’artificio da un buco nero in una galassia vicina

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Quei ‘pochi eletti’ che ospitano le galassie deboli

La studio della materia scura ha fatto ulteriori progressi grazie ad una serie di nuove simulazioni numeriche (EAGLE simulation) che mostrano l’evoluzione dell’Universo locale dal Big Bang ai nostri giorni. Carlos Frenk, Director del Durham University’s Institute for Computational Cosmology, che è a capo del programma di ricerca, spiega come queste simulazioni potrebbero fornire preziosi indizi sull’origine della materia scura, quella misteriosa componente che rappresenta circa l’85% di tutta la materia presente nell’Universo. Continua a leggere Quei ‘pochi eletti’ che ospitano le galassie deboli

La temperatura del gas intergalattico primordiale

Un gruppo internazionale di astronomi, guidati dai ricercatori della Swinburne University of Technology, hanno pubblicato i risultati di uno studio in cui viene affermato che la temperatura dell’Universo smise di crescere circa 11 miliardi di anni fa. I ricercatori hanno “misurato”, si fa per dire, la temperatura dello spazio cosmico primordiale andando ad analizzare il gas intergalattico all’epoca in cui l’Universo aveva 3-4 miliardi di anni dopo il Big Bang. Durante queste fasi iniziali, molte galassie primordiali iniziavano per la prima volta “ad accendersi”, per così dire, esibendo una estrema attività nucleare e determinando perciò un aumento di temperatura dello spazio circostante.

Swinburne University of Technology: The Universe broke its rising ‘fever’ about 11 billion years ago

arXiv: The thermal history of the intergalactic medium down to redshift z=1.5: a new curvature measurement

 

Il problema delle galassie nane mancanti

Cosmic Web Stripping, Visualization.
Credit: Alejandro Benitez Llambay

Gli astronomi della collaborazione internazionale Constrained Local UniversE Simulations (CLUES) hanno identificato nel cosiddetto “Cosmic Web Strippingun nuovo modo di spiegare il problema delle nane mancanti, cioè l’assenza di galassie nane che non vengono osservate rispetto a quanto previsto dal modello cosmologico con materia scura ‘fredda’ e con energia scura.

Le osservazioni di alta precisione degli ultimi vent’anni suggeriscono che l’Universo consiste del 73% di energia scura, del 23% di materia scura e dal 4% di materia ordinaria. Le galassie e la materia si addensano nello spazio formando una rete intricata di ‘filamenti’ e ‘vuoti’ nota come “Cosmic Web”. Le simulazioni numeriche indicano che in questo modello di Universo si devono formare un elevato numero di piccole galassie nane nello spazio locale la cui massa sia pari mediamente ad un millesimo la massa della Via Lattea. Tuttavia, si osservano solo una ‘manciata’ di galassie nane che orbitano attorno alla nostra galassia. La scarsità, dunque, del numero di galassie nane rappresenta oggi una delle maggiori sfide teoriche nell’ambito della formazione e dell’evoluzione delle galassie. Un gruppo internazionale di ricercatori ha affrontato questo problema realizzando una serie di simulazioni numeriche mediante il progetto CLUES. I calcoli si basano sulle posizioni osservate e sulle velocità peculiari delle galassie che sono distribuite entro decine di milioni di anni-luce dalla Via Lattea in modo da simulare lo spazio nei ‘dintorni’, si fa per dire, della nostra galassia. “Lo scopo principale del progetto è quello di simulare l’evoluzione del Gruppo Locale, formato dalla Via Lattea, da Andromeda e da altre galassie minori che si trovano vicine” spiega Stefan Gottlöber del Leibniz Institute for Astrophysics a Potsdam. Analizzando le simulazioni, gli astronomi hanno trovato che alcune galassie nane esterne del Gruppo Locale si muovono con velocità elevate rispetto al Cosmic Web che la maggior parte del gas in esse contenuto può essere effettivamente perduto e rimosso. Gli scienziati chiamano questo meccanismo “Cosmic Web Stripping” dato che è proprio la struttura a ‘filamenti’ e a ‘frittella’ del cosmo che è responsabile della diminuzione del rifornimento del gas nelle galassie nane. Di conseguenza, senza una grande riserva di gas che alimenti la nascita di nuove stelle queste galassie nane diventano così piccole e deboli al punto che risulta difficile identificarle. Insomma, il problema delle galassie nane mancanti potrebbe essere dovuto semplicemente al fatto che questi oggetti sono molto deboli per essere rivelate.

Leibniz-Institute press release: Where are all the dwarfs?

arXiv: Dwarf Galaxies and the Cosmic Web

Un ‘ponte’ di gas che si estende nello spazio per 10 milioni di anni-luce

Grazie ad una serie di osservazioni realizzate dal satellite Planck è stato possibile rivelare un ‘ponte’ di gas caldo che collega due ammassi di galassie separati da una distanza di 10 milioni di anni-luce nello spazio intergalattico.

Questo filamento di gas, che ha una temperatura di 80 milioni di gradi Kelvin, connette due ammassi di galassie, Abell 399 e Abell 401, e ha origine in parte dal mezzo intergalattico composto da filamenti di gas che si ritiene pervadano l’intero Universo. Questa scoperta è interessante perché permette di avere ulteriori indizi sulla cosiddetta ‘materia barionica mancante’ che gli astronomi stanno tentando di rivelare per risolvere un problema osservativo: infatti, la quantità di materia barionica osservata nell’Universo distante e quella presente nell’Universo vicino non coincidono. I ricercatori ritengono che il cosiddetto Warm-Hot Intergalactic Medium (WHIM), cioè quella rete cosmica composta sia da materia scura che da quella barionica,  potrebbe essere un buon candidato dove trovare quei ‘barioni mancanti’. Le simulazioni numeriche sulla formazione delle strutture cosmiche prevedono che le galassie e gli ammassi di galassie siano ‘ancorate’, per così dire, nella rete cosmica e che il mezzo intergalattico WHIM possa tener conto della quantità di materia barionica dell’Universo locale. Questo particolare network composto da gas tenue possiede temperature che vanno da 100 mila a diverse decine di milioni di gradi Kelvin e data la sua densità estremamente bassa risulta difficile da rivelarlo.


[Press release: Planck spots hot gas bridging galaxy cluster pair]

Article in depth

Science paper

I quasar per lo studio dell’energia scura

Il progetto BOSS, che sta per Baryon Oscillation Spectroscopic Survey, copre un enorme volume di spazio ed è stato concepito per misurare gli effetti dell’energia scura sull’evoluzione dell’Universo. Si tratta del più grande programma scientifico della terza survey denominata Sloan Digital Sky Survey (SDSS-III) che ha appena annunciato il primo risultato importante relativo ad una nuova tecnica di mappatura che si basa sull’analisi degli spettri di più di 48.000 quasar i più distanti dei quali si trovano a circa 11,5 miliardi di anni-luce.

Nessuna tecnica per lo studio dell’energia scura ha permesso di esplorare questa epoca così antica risalente alle fasi primordiali della storia cosmica durante le quali la materia era ancora abbastanza densa  da rallentare l’espansione dell’Universo, mentre invece l’influenza dell’energia scura non si era ancora fatta sentire“, spiega David Schlegel investigatore principale del programma BOSS. “Oggi, l’espansione dello spazio sta accelerando perché l’Universo è dominato dall’energia scura. Il modo con cui l’Universo è passato dalla fase di decelerazione a quella di accelerazione rimane ancora uno dei misteri della moderna cosmologia” (vedasi Enigmi Astrofisci). BOSS permette di studiare gli effetti dovuti all’energia scura andando ad analizzare le oscillazioni acustiche dovute alla materia barionica (Barionic Acoustic Oscillations, BAO), la grande rete cosmica che mostra le variazioni della distribuzione delle galassie visibili e delle nubi di gas intergalattico, difficili da osservare, che sono altrettanto importanti per la studio della materia scura. Le spaziature regolari dei picchi della densità di materia hanno origine dalle variazioni di densità primordiali, i cui resti sono visibili oggi nella radiazione cosmica di fondo. Queste spaziature offrono una sorta di ‘righello cosmico’ per calibrare il tasso di espansione dell’Universo laddove le oscillazioni acustiche di origine barionica possono essere misurate. Utilizzando il telescopio della Sloan Foundation presso l’osservatorio astronomico di Apache Point nel New Mexico, BOSS ha iniziato una duplice campagna di osservazioni spettroscopiche per studiare le oscillazioni acustiche barioniche. La prima priorità è stata quella di esaminare le galassie normali luminose che hanno redshift fino a 0,8, equivalente ad una distanza di circa sette miliardi di anni-luce, i cui primi risultati del campione che comprendeva oltre 300.000 galassie sono stati annunciati nel marzo 2012. Ma per studiare il contributo delle oscillazioni acustiche barioniche dovuto alle galassie che hanno redshift abbastanza elevati non è sufficiente un telescopio di 2,5 metri. Dunque, il secondo obiettivo di BOSS sono stati i quasar. “I quasar sono gli oggetti più luminosi del cielo, e quindi rappresentano l’unico modo credibile per misurare spettri fino a redshift 2.0 e oltre“, dice Schlegel. “A questi redshift così elevati ci sono almeno cento volte più galassie rispetto ai quasar, ma sono troppo deboli per studiare le oscillazioni acustiche barioniche“.

Tuttavia, i quasar sono troppo scarsi per misurare direttamente le oscillazioni acustiche, ma c’è un altro modo per rivelarli a redshift elevati. Dato che la radiazione emessa da un quasar passa attraverso le nubi di gas intergalattico nel suo percorso prima di raggiungere i nostri strumenti, il suo spettro presenterà un gran numero di righe di assorbimento dell’idrogeno, note come Lyman-alfa forest. Idealmente, ogni riga di assorbimento nello spettro di un singolo quasar ci dà delle indicazioni sulla variazione della densità del gas che interviene lungo la linea di vista. Considerando un certo numero abbastanza elevato di quasar, che coprono allo stesso tempo una ampia zona di cielo, è possibile mappare in 3D la distribuzione delle nubi di gas. Questa idea è stata avanzata agli inizi degli anni 2000 da Patrick McDonald, all’epoca presso l’Istituto Canadese di Astrofisica Teorica, e da Martin White, entrambi ora alla Physics Division dei Laboratori Berkeley. “Quando ho presentato l’idea a una conferenza di cosmologia, nel 2003, hanno pensato che fossi pazzo“, dice White, che è anche un professore di fisica e astronomia presso la University of California a Berkeley e presidente dei progetti di survey che utilizzano BOSS. “Nove anni più tardi, BOSS ha dimostrato che si tratta di una tecnica incredibilmente potente. Infatti è andato al di là dei nostri sogni più folli“. Il primo risultato della Lyman-alpha forest, cioè la prima mappa delle oscillazioni acustiche barioniche in questa fase primordiale dell’evoluzione dell’Universo, si basa solo su un terzo del volume di spazio che sarà esplorato da BOSS e comprende 60.369 quasar già confermati dall’analisi degli spettri. Per semplificare la ricerca delle oscillazioni acustiche, molti di questi oggetti sono stati scartati a causa di una serie di contaminazioni che alterano il segnale che si vuole cercare perciò alla fine sono stati considerati solo 48.129 quasar. Già nel 2011, un team guidato da Anže Slosar del Brookhaven National Laboratory aveva dimostrato la fattibilità dell’esperimento per misurare la variazione di densità del gas idrogeno intergalattico su distanze cosmologiche utilizzando solo un campione di 14.000, un dato sufficiente per stabilire una prova concreta al livello teorico. Una volta eseguita l’elaborazione dei dati e avere generato falsi spettri, le analisi della Lyman-alfa forest di oltre 48.000 quasar hanno dato risultati simili. Dunque, applicando questi dati numerici agli spettri veri dei quasar è stato possibile ottenere un quadro della distribuzione di densità del gas che ci permette di avere un prima idea sull’andamento delle oscillazioni acustiche in questa regione dello spazio precedentemente inesplorata. “Stiamo osservando indietro nel tempo quando l’espansione dell’Universo era dominata dalla decelerazione dovuta alla materia scura e l’energia scura era difficile da rivelare. Il passaggio dalla decelerazione all’espansione è stato molto netto e ora viviamo in una epoca dominata dall’energia scura. Una delle grandi domande aperte in cosmologia è: perché adesso? ” E’ una domanda a cui BOSS cercherà di rispondere man mano che raccoglierà la luce di più di un milione e mezzo di galassie e più di 160.000 quasar prima che la survey SDSS-III sarà completata. Nel frattempo, possiamo affermare che la tecnica di analisi della foresta Lyman-alfa ha aperto una nuova visione dell’Universo primordiale che in futuro potrà essere completata con indagini più potenti come quella già proposta e denominata BigBOSS.

[Press release: BOSS Quasars Unveil a New Era in the Expansion History of the Universe]

arXiv: Baryon Acoustic Oscillations in the Ly-α forest of BOSS quasars

Raggi-gamma dal centro galattico: evidenza di materia scura?

L’emissione di alta energia proveniente dal centro della Via Lattea potrebbe essere consistente con l’intrigante possibilità che le particelle di materia scura stiano annichilando nello spazio producendo raggi-gamma.

E’ quanto emerge da uno studio condotto da Kevork Abazajian e da Manoj Kaplinghat del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università della California a Irvine i quali affermano che i risultati sono statisticamente significativi. Gli studiosi hanno analizzato una serie di dati raccolti tra il 2008 e il 2012 dal satellite Fermi Gamma-ray Space Telescope trovando un eccesso di raggi-gamma provenienti dal centro galattico rispetto a quanto previsto dai precedenti modelli. “E’ la prima volta che questa nuova sorgente di alta energia viene osservata non solo ma la forma del suo spettro di emissione sembra essere consistente con gli attuali modelli che prevedono la presenza di materia scura”  spiega Abazajian. “Le prossime osservazioni di regioni di spazio con una minore emissione di radiazione, come le galassie nane, ci permetteranno di determinare in maniera definitiva se abbiamo a che fare con la materia scura”. Nonostante l’interpretazione dei dati pare essere consistente con i modelli che si basano sulle WIMPs, cioè le particelle che sono maggiormente candidate per costituire la materia scura, i raggi-gamma potrebbero essere associati a fotoni energetici emessi dalle pulsar o ancora si potrebbe trattare di particelle energetiche che interagiscono con il gas intergalattico che si trova distribuito nelle regioni centrali della Via Lattea.

ArXiv: Detection of a Gamma-Ray Source in the Galactic Center Consistent with Extended Emission from Dark Matter Annihilation and Concentrated Astrophysical Emission

L’Universo delle origini attraversò una fase di ‘surriscaldamento globale’

Circa 11 miliardi di anni fa, l’Universo attraversò una fase di riscaldamento globale. Come conseguenza di ciò, l’attività dei buchi neri influenzò l’evoluzione di alcune galassie di piccole dimensioni per un periodo di circa 500 milioni di anni. Questa è la conclusione di un gruppo di astronomi che hanno utilizzato i dati del telescopio spaziale Hubble esplorando le regioni più antiche e più remote del nostro Universo.

La figura mostra l’evoluzione dell’Universo dal Big Bang ad oggi. Subito dopo la nascita dell’Universo la radiazione proveniente dalle prime stelle riscaldò gli atomi di idrogeno nel processo di reionizzazione. Ad epoche successive i quasar, grazie all’intensa attività dei buchi neri, produssero radiazione ultravioletta che rionizzò gli atomi di elio.
Credit: NASA, ESA e A. Feild (STScI)

Grazie alle misure effettuate con lo spettrografo COS (Cosmic Origins Spectrograph), i ricercatori hanno identificato una epoca, 11,7-11,3 miliardi di anni fa, quando gli atomi di elio persero, per così dire, gli elettroni. Questo processo di ionizzazione riscaldò il gas intergalattico inibendo il collasso gravitazionale che avrebbe portato alla nascita di nuovestelle nelle galassie più piccole, diffondendo il gas nello spazio. L’Universo attraversò così una fase di riscaldamento globale nel momento in cui la radiazione emessa dalle stelle massicce ionizzò gli atomi di idrogeno subito dopo il Big Bang. Questa epoca viene chiamata di re-ionizzazione a causa del fatto che i nuclei degli atomi di idrogeno si trovavano originariamente in uno stato ionizzato appena nato l’Universo.

Hubble ha permesso di determinare un periodo di circa 2 miliardi di anni prima che l’Universo producesse radiazione ultravioletta per rionizzare gli atomi di elio che erano stati prodotti in seguito al Big Bang. Ma questa radiazione di alta energia non proveniva dalle stelle bensì dai quasar. Di fatto, l’epoca in cui gli atomi di elio vennero ionizzati coincide proprio con il periodo in cui i quasar furono più abbondanti.

In altre parole, durante le epoche primordiali l’Universo fu un posto alquanto “rumoroso”, potremmo dire, perchè le galassie interagivano frequentemente e questo alimentava l’attività dei buchi neri nucleari. Questi ultimi convertivano rapidamente e violentemente parte dell’energia gravitazionale, dovuta alla caduta del gas verso le regioni del nucleo galattico, in radiazione ultravioletta che successivamente avrebbe fatto brillare le galassie. Inoltre, essa riscaldò il gas intergalattico formato principalmente da atomi di elio e una volta che essi vennero rionizzati il gas si raffreddò nuovamente e finalmente le galassie nane cominciarono ad assemblarsi.

ArXiv1: COSMIC ORIGINS SPECTROGRAPH DETECTION OF Ne VIII: TRACING WARM – HOT GAS TOWARDS PKS 0405 − 123

 ArXiv2: HUBBLE/COS OBSERVATIONS OF THE QUASAR HE 2347−4342: PROBING THE EPOCH OF He II PATCHY REIONIZATION AT REDSHIFTS Z = 2.4 − 2.9