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L’Universo si ‘consuma’ ad un ritmo elevato

Se le macchine consumano benzina, le stelle consumano il proprio combustibile nucleare e le galassie finiscono per collassare in buchi neri. L’Universo, e tutto ciò che è in esso presente, si sta gradualmente consumando. Ma quanto velocemente? I ricercatori dell’Università Nazionale Australiana hanno scoperto che l’Universo si consuma con un tasso di circa 30 volte maggiore di quanto precedentemente pensato. I ricercatori hanno calcolato l’entropia dell’Universo in modo da determinare qual è il grado di disordine del sistema fisico. Utilizzando nuovi dati sul numero e sulle dimensioni dei buchi neri, essi hanno trovato che l’Universo possiede un grado di disordine 30 volte maggiore di quanto precedentemente pensato.

Abbiamo considerato il contributo totale all’entropia dovuto alle stelle, alla radiazione stellare, alla radiazione cosmica di fondo e persino alla materia scura. Tuttavia, è l’entropia dei buchi neri supermassicci che domina l’entropia totale dell’Universo. Utilizzando i nuovi dati sul numero e la dimensione dei buchi neri supermassicci, abbiamo trovato che l’entropia dell’Universo osservabile è circa 30 volte più grande di quanto precedentemente calcolato” spiega Chas Egan. “Contrariamente a quanto si crede, ciò che mantiene strutture diverse e complicate, come stelle, galassie, uragani e canguri, ha come effetto quello di aumentare il disordine e l’entropia dell’Universo. Tuttavia, il loro contributo è trascurabile se confrontato con l’entropia dovuta ai buchi neri supermassicci” aggiunge Charley Lineweaver. Questi risultati hanno implicazioni importanti non solo per la vita terrestre ma anche per la vita nell’Universo.

Per quanto ne sappiamo, l’Universo ha cominciato con uno stato di bassa entropia e, in accordo al secondo principio delle termodinamica, l’entropia ha continuato a crescere. Ciò è importante perché la quantità di energia disponibile per la vita dipende anche dal grado di entropia stessa presente nell’Universo. “Vorremmo infatti capire quanta energia sarà ancora disponibile per la formazione e l’evoluzione di possibili forme di vita e dove si cela questa energia. Dunque bisogna calcolare l’entropia dell’Universo ed è quello che abbiamo fatto. Bisogna comunque cercare di capire quanto vicini siamo alla fase di massima entropia, quale è il grado di entropia che si sta producendo e quanto tempo abbiamo ancora a disposizione prima che tutte le eventuali forme di vita presenti nell’Universo arrivino alla fine della loro esistenza” conclude Lineweaver.

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Lente gravitazionale e galassie distanti

Il fenomeno della lente gravitazionale rappresenta un metodo unico e promettente per studiare quanta materia scura esiste nell’Universo e come si distribuisce nello spazio. Uno studio recente ad opera di un gruppo di ricercatori del Dipartimento dell’Energia del Lawrence Berkeley National Laboratory ha permesso di estendere il fenomeno della lente gravitazionale per studiare le strutture più vecchie e più piccole rispetto a quanto fatto in precedenza.

Finora, il fenomeno della lente gravitazionale è stato limitato al calcolo della massa totale di gruppi e ammassi di galassie relativamente vicini. La massa totale di un ammasso è dovuta al contributo sia della materia ordinaria, cioè la materia visibile formata da stelle e polveri, altresì chiamata materia barionica , che della materia invisibile, la materia scura, che forma lo “scheletro”, per così dire, su cui si distribuiscono le galassie negli ammassi. Gli astronomi hanno trovato una relazione importante relativamente agli ammassi vicini che lega la massa totale, determinata dall’effetto della lente gravitazionale, con la luminosità dei raggi-X dovuta alla materia ordinaria. “Siamo stati in grado di estendere le misure alla massa delle strutture più piccole che sono esistite durante le fasi primordiali della storia dell’Universo permettendoci di capire meglio la relazione che esiste tra la materia ordinaria presente nelle strutture più dense e la massa totale dovuta alla materia scura così come viene misurata dall’effetto della lente gravitazionale“, dice Alexie Leauthaud, Chamberlain Fellow alla Divisione di Fisica del Berkeley Laboratory e membro del Berkeley Center for Cosmological Physics (BCCP) .

L’Universo delle origini attraversò una fase di ‘surriscaldamento globale’

Circa 11 miliardi di anni fa, l’Universo attraversò una fase di riscaldamento globale. Come conseguenza di ciò, l’attività dei buchi neri influenzò l’evoluzione di alcune galassie di piccole dimensioni per un periodo di circa 500 milioni di anni. Questa è la conclusione di un gruppo di astronomi che hanno utilizzato i dati del telescopio spaziale Hubble esplorando le regioni più antiche e più remote del nostro Universo.

La figura mostra l’evoluzione dell’Universo dal Big Bang ad oggi. Subito dopo la nascita dell’Universo la radiazione proveniente dalle prime stelle riscaldò gli atomi di idrogeno nel processo di reionizzazione. Ad epoche successive i quasar, grazie all’intensa attività dei buchi neri, produssero radiazione ultravioletta che rionizzò gli atomi di elio.
Credit: NASA, ESA e A. Feild (STScI)

Grazie alle misure effettuate con lo spettrografo COS (Cosmic Origins Spectrograph), i ricercatori hanno identificato una epoca, 11,7-11,3 miliardi di anni fa, quando gli atomi di elio persero, per così dire, gli elettroni. Questo processo di ionizzazione riscaldò il gas intergalattico inibendo il collasso gravitazionale che avrebbe portato alla nascita di nuovestelle nelle galassie più piccole, diffondendo il gas nello spazio. L’Universo attraversò così una fase di riscaldamento globale nel momento in cui la radiazione emessa dalle stelle massicce ionizzò gli atomi di idrogeno subito dopo il Big Bang. Questa epoca viene chiamata di re-ionizzazione a causa del fatto che i nuclei degli atomi di idrogeno si trovavano originariamente in uno stato ionizzato appena nato l’Universo.

Hubble ha permesso di determinare un periodo di circa 2 miliardi di anni prima che l’Universo producesse radiazione ultravioletta per rionizzare gli atomi di elio che erano stati prodotti in seguito al Big Bang. Ma questa radiazione di alta energia non proveniva dalle stelle bensì dai quasar. Di fatto, l’epoca in cui gli atomi di elio vennero ionizzati coincide proprio con il periodo in cui i quasar furono più abbondanti.

In altre parole, durante le epoche primordiali l’Universo fu un posto alquanto “rumoroso”, potremmo dire, perchè le galassie interagivano frequentemente e questo alimentava l’attività dei buchi neri nucleari. Questi ultimi convertivano rapidamente e violentemente parte dell’energia gravitazionale, dovuta alla caduta del gas verso le regioni del nucleo galattico, in radiazione ultravioletta che successivamente avrebbe fatto brillare le galassie. Inoltre, essa riscaldò il gas intergalattico formato principalmente da atomi di elio e una volta che essi vennero rionizzati il gas si raffreddò nuovamente e finalmente le galassie nane cominciarono ad assemblarsi.

ArXiv1: COSMIC ORIGINS SPECTROGRAPH DETECTION OF Ne VIII: TRACING WARM – HOT GAS TOWARDS PKS 0405 − 123

 ArXiv2: HUBBLE/COS OBSERVATIONS OF THE QUASAR HE 2347−4342: PROBING THE EPOCH OF He II PATCHY REIONIZATION AT REDSHIFTS Z = 2.4 − 2.9

I supercomputer ricostruiscono la struttura dell’Universo

Sebbene siano state fatte tante scoperte che riguardano la storia dell’Universo negli ultimi 13,7 miliardi di anni tuttavia molti misteri rimangono ancora senza risposte. Ad esempio, non sappiamo cosa è successo esattamente durante il Big Bang o quali sono stati i processi fisiciche hanno portato alla formazione delle strutture che vediamo oggi come stelle, galassie o ammassi di galassie. Oggi però gli astronomi hanno a disposizione i cosiddetti supercomputer mediante i quali è possibile costruire modelli sofisticati che sono in grado di simulare la nascita e l’evoluzione dell’Universo.

Simulazioni al computer del processo di re-ionizzazione cosmica (a sinistra) e della formazione di un ammasso di galassie (a destra).
Credit: LCA.

Daniel Reynolds, professore di matematica al Southern Methodist University, ha collaborato con gli astrofisici dell’Università della California, a San Diego, per elaborare un modello relativo alla fase di reionizzazione cosmica nell’epoca che va dai 380.000 a 400.000 anni dopo il Big Bang. Si tratta di un modello matematico che ricostruisce gli eventi della cosiddetta “età scura” quando cioè si formarono le prime stelle e apparì la prima luce. “Il modello matematico riproduce una serie di processi fisici che furono presenti durante la fase cosmica della re-ionizzazione, come il moto del gas, il trasporto della radiazione, la cinematica degli elementi chimici, la formazione stellare“, dice Reynolds. “Inoltre dobbiamo sottolineare che le simulazioni sono estremamente accurate e numericamente stabili“.

Di solito le simulazioni consistono di un insieme complesso di equazioni matematiche che cercano di rappresentare i processi fisici. Solo i supercomputer possono risolvere simultaneamente le equazioni. L’intuizione scientifica e la creatività entrano in gioco sviluppando il modello base, applicando alle equazioni i parametri più adatti, mentre le variabili possono essere modificate di volta in volta per descrivere scenari diversi. L’obiettivo, dunque, è quello di ottenere un modello i cui risultati siano molto vicini alle osservazioni e ci permettano di fare delle previsioni che siano possibilmente vicini alla realtà. Se questo succede allora potremo dire di aver descritto quei processi fisici che sono esistiti durante la fasi iniziali della storia dell’Universo.

Le galassie ‘rifatte’ al computer

Perchè le galassie hanno la forma che vediamo? Lo schema di classificazione delle galassie di Hubble ci dice sostanzialmente che le galassie possono essere disposte secondo una sequenza che va dalle galassie ellittiche alle galassie a spirali. Esiste poi una classe di galassie intermedie che non hanno una forma ben precisa per cui vengono chiamate irregolari. Si tratta però di una classificazione soggettiva che permise allo stesso Hubble di classificare le galassie in base al metodo “ciò che vedo chiamo”. Di fatto, se diamo uno sguardo d’insieme alla Hubble Deep Field (HDF) notiamo che le galassie hanno varie forme e dimensioni. Ma perché deve essere così?

Gli astronomi non hanno saputo dare una spiegazione a tale domanda finchè due ricercatori hanno studiato di recente la storia evolutiva delle galassie costruendo un modello che ha permesso di chiarire, per così dire, lo schema di Hubble. Tutto questo è stato possibile grazie all’introduzione, nel modello, della materia scura e del fenomeno della fusione delle galassie (merging).

Andrew Benson del Caltech e Nick Devereux della Embry-Riddle University in Arizona hanno elaborato i dati della missione Two Micron All Sky Survey (2MASS) , che opera nella banda infrarossa, mediante un sofisticato modello in computer grafica. Il modello ha riprodotto la storia evolutiva dell’Universo negli ultimi 13 miliardi di anni ma la cosa sorprendente è stato il fatto che il modello ha riprodotto non solo le forme ma anche il numero delle galassie. Assumendo che le galassie siano immerse in aloni di materia scura i due ricercatori hanno tenuto conto di questo dato per rappresentare la formazione e l’evoluzione delle galassie. Ad esempio, nel caso della Via Lattea, una spirale barrata, si è visto che la sua storia evolutiva è stata abbastanza complessa e caratterizzata da collisioni minori e da al meno un episodio in cui il disco interno è collassato per formare la struttura centrale a barra.

Dunque, secondo il modello di Benson e Devereux le classi delle galassie derivano da storie evolutive diverse per cui il passo successivo sarà quello di studiare le galassie più distanti, una volta lanciato il telescopio spaziale James Webb, e confrontare i dati osservati con quelli previsti dal modello.