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Hubble scopre il gigantesco alone galattico di Andromeda

Gli astronomi hanno scoperto che il gigantesco alone di gas che circonda la vicina galassia Andromeda è circa sei volte più grande e almeno mille volte più massiccio rispetto alle misure precedenti. L’alone scuro, quasi invisibile, si estende per circa un milione di anni-luce dalla galassia, a metà strada con la nostra galassia. Questi risultati sono alquanto promettenti perché gettano più luce sull’evoluzione e la struttura delle maestose e gigantesche galassie a spirale che sono le più comuni nell’Universo. I risultati su Astrophysical Journal.

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Le contraddizioni del modello CDM

Una collaborazione tra ricercatori di diverse università americane ha pubblicato un articolo su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) nel quale si spiegano le principali contraddizioni che presenta l’attuale modello cosmologico standard ΛCDM (Lambda-Cold Dark Matter) e propone alcuni approcci per riconciliare le osservazioni con le previsioni del modello.

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HD 140283, certificata come la stella più ‘vecchia’

Grazie ad una serie di osservazioni effettuate mediante il telescopio spaziale Hubble, un gruppo di astronomi sono stati in grado di determinare il ‘certificato di nascita’ di una stella che è stata a lungo studiata.

Si tratta dell’oggetto più vecchio che conosciamo e di cui abbiamo ricavato in maniera accurata la sua età”, dichiara Howard Bond della Pennsylvania State University e dello Space Science Telescope Institute. Il valore stimato dell’età della stella è di 14,5 miliardi di anni, con una incertezza di 0,8 miliardi di anni, che a prima vista ne farebbe l’oggetto più vecchio della sua categoria ma andrebbe in contraddizione con l’età dell’Universo che è di 13,7 miliardi di anni. Nonostante questi risultati siano in contraddizione, alcune stime precedenti che risalgono al 2000 danno dei valori ancora maggiori, ossia di 16 miliardi di anni. Naturalmente, ciò crea un problema per i cosmologi. “Forse, il nostro modello cosmologico è sbagliato o forse i modelli dell’evoluzione stellare sono sbagliati o, ancora, potrebbe essere sbagliata la stima della distanza della stella”, dice Bond. Dunque il passo più importante da fare è stato quello di determinare in maniera accurata la distanza della stella. La stima dell’età ottenuta mediante le osservazioni realizzate con il telescopio spaziale Hubble riducono l’intervallo degli errori delle misure per cui l’età della stella andrebbe a sovrapporsi nell’intervallo dei valori che definiscono l’età dell’Universo, così come è stato determinato indipendentemente dal tasso di espansione dello spazio, dall’analisi della radiazione cosmica di fondo e dalle misure del decadimento radioattivo. Questa vera “stella di Matusalemme”, catalogata con la sigla HD 140283, è già conosciuta agli astronomi da almeno un secolo a causa del suo elevato moto proprio, una evidenza del fatto che l’oggetto sembra essere una sorta di “visitatore spaziale” che arriva nei dintorni del nostro ambiente stellare. L’orbita allungata della stella è dovuta ad un evento di cannibalismo galattico e perciò essa transita nelle vicinanze del Sistema Solare alla fantastica velocità di circa 1.200.000 Km/h. Di fatto, essa impiega circa 1.500 anni per descrivere un tratto di orbita equivalente alla distanza angolare sottesa dalla Luna Piena. Si pensi che il suo moto proprio angolare è così rapido, circa 0,13 milliarcosecondi/ora, che lo stesso telescopio spaziale Hubble è stato in grado di fotografare letteralmente il suo movimento dopo qualche ora di osservazione. La stella, che si trova attualmente nella fase di gigante rossa, può essere osservata con un binocolo potente come oggetto di 7° magnitudine nella costellazione della Bilancia.

Durante gli anni ’50, gli astronomi conclusero che questa stella presentava una mancanza di elementi pesanti rispetto alle altre stelle vicine dell’ambiente galattico. Le stelle dell’alone galattico sono state le prime a formarsi e rappresentano una popolazione stellare molto vecchia. Questo significa che la stella si è originata molto tempo prima che lo spazio fosse riempito di elementi pesanti che sono prodotti nelle stelle attraverso la nucleosintesi stellare. L’abbondanza di elementi pesanti è di circa 250 volte inferiore a quella presente nel Sole o nelle altre stelle vicine. Il potere esplorativo del telescopio spaziale Hubble è stato sfruttato per ricavare con una precisione più elevata la distanza ottenendo un valore di 190,1 anni-luce. Il metodo che hanno utilizzato Bond e colleghi per stimare la distanza della stella è quello della cosiddetta parallasse trigonometrica. La parallasse delle stelle vicine può essere misurata osservando lo stesso oggetto da due angoli diversi che corrispondono a due punti di osservazione estremi dell’orbita terrestre. La distanza vera della stella può quindi essere ricavata direttamente attraverso una semplice triangolazione. Una volta determinata la distanza, gli astronomi possono ricavare la luminosità intrinseca della stella e di conseguenza si può risalire alla sua età. Prima delle osservazioni effettuate con il telescopio spaziale Hubble, il satellite Hipparcos dell’ESA aveva permesso di ottenere una misura precisa della parallasse della stella benché avesse fornito un valore per l’età con una incertezza di 2 miliardi di anni. La parallasse misurata da Hubble è comunque virtualmente identica a quella ricavata da Hipparcos anche se la precisione di Hubble è cinque volte superiore. Dunque, il lavoro di Bond è stato quello di restringere l’intervallo degli errori in modo tale che le stime dell’età della stella fossero cinque volte più precise. Utilizzando tutta una serie di parametri descritti nei modelli dell’evoluzione stellare, gli astronomi hanno trovato che da un lato la stella possiede una quantità di idrogeno insufficiente per iniziare il ciclo della fusione nucleare, il che implica che essa bruci il combustibile molto più velocemente, e dall’altro che essa possiede un elevato rapporto ossigeno/ferro rispetto a quanto previsto dai modelli. Questi risultati contribuiscono a far abbassare il valore stimato dell’età della stella. Bond è convinto che nuovi dati relativi all’abbondanza dell’ossigeno potrebbero ulteriormente abbassare l’età della stella dato che essa si sarebbe formata qualche tempo dopo il Big Bang quando cioè l’Universo era già ricco di ossigeno. Dunque, abbassare il limite superiore del valore stimato per l’età della stella potrebbe portarla ad essere, in maniera inequivocabile, più giovane rispetto all’età dell’Universo. Questo oggetto peculiare molto antico ha certamente subito tutta una serie di cambiamenti durante il suo ciclo vitale. È molto probabile che la stella si sia originata in una galassia nana che successivamente è stata catturata gravitazionalmente dalla Via Lattea che andava a formarsi nel corso di 12 miliardi di anni.

NASA: Hubble Finds Birth Certificate of Oldest Known Star

arXiv: HD 140283: A Star in the Solar Neighborhood that Formed Shortly After the Big Bang

Un ‘guscio di stelle’ nell’alone galattico

Grazie ad una serie di osservazioni profonde e dettagliate dell’alone galattico, realizzate mediante il telescopio spaziale Hubble, gli astronomi hanno trovato alcuni indizi della possibile esistenza di una ‘sfera di stelle’ che potrebbero essere i resti del ‘cannibalismo‘ della nostra galassia.

Hubble è stato utilizzato, per la prima volta, per misurare in maniera accurata i moti associati ad un campione di stelle situate ad enormi distanze rispetto al centro galattico. Il loro movimento laterale insolito rappresenta una evidenza circostanziale che le stelle potrebbero essere i resti di una galassia che venne, per così dire, ‘divorata’ dalla Via Lattea alcuni miliardi di anni fa. La presenza di queste stelle supporta l’idea in base alla quale la nostra galassia si è evoluta, in parte, attraverso l’accrescimento di galassie più piccole. Queste stelle situate nelle regioni più periferiche della Galassia portano con sé le tracce di quegli eventi accaduti molto tempo fa. Inoltre, esse offrono una nuova opportunità per misurare la ‘massa mancante’ che si trova sottoforma di materia scura. In altre parole, la Via Lattea rappresenta il luogo ideale e il più vicino per studiare la sua storia e la sua evoluzione. Alis Deason dell’University of California a Santa Cruz e Roeland van der Marel dello Space Telescope Science Institute (STScI) a Baltimora, hanno analizzato 13 stelle che si trovano a circa 80 mila anni-luce dal centro galattico cioè in quella regione dell’alone più esterno in cui sono presenti stelle vecchie che risalgono alla formazione della Via Lattea. Gli scienziati sono rimasti sorpresi quando hanno misurato i moti delle stelle trovando una quantità diversa rispetto a quella attesa. Questo movimento, tangenziale, è diverso da quello che caratterizza le stelle note in prossimità del Sole, che è sostanzialmente di tipo radiale. Le stelle che si muovono in queste orbite si dirigono verso il centro galattico e poi tornano indietro. Le stelle che si muovono lungo la tangente, per così dire, si giustificano se si ammette l’esistenza di una maggiore densità di stelle a circa 80 mila anni-luce, un pò come le macchine che si accodano in una autostrada. Insomma, questa sorta di ‘traffico stellare’ potrebbe dar luogo ad una struttura a forma di sfera o di guscio così come viene osservata attorno ad altre galassie. Il prossimo passo sarà ora quello di derivare un quadro molto più chiaro della storia evolutiva della nostra galassia. Infine, studiando le orbite e i movimenti delle stelle presenti nell’alone galattico sarà possibile calcolare in maniera più accurata la distribuzione della massa della Via Lattea, che è dominata dalla materia scura, e si potrà verificare se il valore ottenuto è consistente con quello previsto dalle teorie sulla formazione delle strutture cosmiche.

UC Santa Cruz: Stellar motions in outer halo shed new light on Milky Way evolution

arXiv: The Velocity Anisotropy of Distant Milky Way Halo Stars from Hubble Space Telescope Proper Motions

Continua il mistero dell’apparente anomalia del litio-7

Circa trent’anni fa, Monique and François Spite dell’Osservatorio di Parigi realizzarono una serie di osservazioni in merito all’abbondanza dell’elemento litio-7 nell’Universo, ottenendo dei risultati alquanto sconcertanti (vedasi questo post). In altre parole, studiando gli aloni delle stelle più vecchie essi avevano notato la presenza di una abbondanza di litio-7 maggiore rispetto a quella che sarebbe stata presente nello spazio. Da allora, molti studi hanno tentato di capire il perché di questa apparente anomalia ma finora nessuno è stato in grado di fornire una adeguata spiegazione. Oggi, studi più recenti infittiscono ancora questo mistero poiché è stato trovato che la quantità di litio-7, calcolata lungo la linea di vista che separa la Terra da una stella molto giovane situata nella Piccola Nube di Magellano, è in accordo con quanto ci si aspetta subito dopo il Big Bang. Lo scienziato Christopher Howk e collaboratori suggeriscono che questa discrepanza è alquanto enigmatica in quanto non può essere spiegata con i moderni modelli astrofisici.

Ciò che preoccupa maggiormente gli scienziati che studiano l’anomalia del litio-7 è dovuto al fatto che questo elemento è l’unico che non quadra con i modelli che descrivono l’evoluzione dell’Universo subito dopo il Big Bang. Tutti gli elementi si formano secondo quantità note, fatta eccezione appunto per il litio-7: se ne trova circa un terzo rispetto a quanto ipotizzato dai teorici. Per cercare di risolvere questo problema, gli astronomi hanno studiato le stelle più vecchie che circondano la Via Lattea, prendendo in considerazione anche i bosoni di massa più leggera, come gli assioni, e persino i sistemi stellari binari in cui una componente è un buco nero. Sfortunatamente, però, questi studi hanno peggiorato il problema indicando che ci dovrebbe essere una percentuale maggiore di litio-7 da qualche parte nello spazio rispetto a quanto previsto. I ricercatori hanno osservato una stella giovane che si trova nella Piccola Nube di Magellano, analizzando lo spettro del gas e delle polveri che si trovano interposte lungo la linea di vista. I dati indicano che la percentuale di litio-7 è consistente con quella prevista dai modelli anche se il problema non è comunque risolto poiché gli scienziati sanno che ce ne dovrebbe essere una quantità maggiore che sarebbe stata prodotta nel corso di 13 miliardi di anni. Dunque, questi risultati infittiscono ancora di più il mistero perché non solo non spiegano dov’è tutto il resto del litio-7 ma non si riesce nemmeno a spiegare il perché l’elemento non è stato creato sin dalle origini dell’Universo così come previsto dai modelli.

 Abstract: Observation of interstellar lithium in the low-metallicity Small Magellanic Cloud  

ArXiv: Observation of interstellar lithium in the low-metallicity Small Magellanic Cloud

Come mai c’è poco litio-7 nell’Universo?

Circa trent’anni fa, i cosmologi Monique Spite and François Spite dell’Osservatorio di Parigi annunciarono una notizia clamorosa relativa all’apparente mancanza di litio-7 nelle stelle più vecchie dell’alone galattico, un risultato che portò al problema di chiedersi come mai fosse presente una percentuale così bassa rispetto a quanto previsto dal modello cosmologico standard o del Big Bang. Da allora, è stato notato che l’elemento litio-7 si ‘rifiuta’, per così dire, di far parte del quadro descrittivo che ci descrive l’evoluzione dell’Universo: in altre parole, non ce ne abbastanza. Oggi, le cose sembrano ancora peggiorate dato che i ricercatori Fabio Iocco e Miguel Pato dell’Università di Stoccolma e dell’Università della Tecnologia a Monaco hanno pubblicato uno studio in cui viene descritto il processo di produzione del litio-7 ad opera dei buchi neri.

L’attuale modello cosmologico standard descrive l’evoluzione dell’Universo a partire da circa 14 miliardi di anni fa quando emersero lo spazio, la materia e l’energia in seguito ad una grande esplosione iniziale, il Big Bang. Durante quei momenti iniziali si formarono gli elementi che sono presenti oggi con una percentuale consistente con quella descritta dal modello. Tuttavia, il litio-7 fa eccezione e, per qualche motivo ancora sconosciuto, esso risulta presente con una percentuale pari a un terzo di quella che dovrebbe essere. Ma il fatto sorprendente deriva da uno studio recente ad opera dei ricercatori Iocco e Pato che suggerisce una percentuale ancora maggiore e che potrebbe essere addirittura doppia di quella prevista dal modello cosmologico. I due ricercatori, mentre studiavano l’emissione nella banda dei raggi-X associata ai sistemi stellari binari, in cui una delle due componenti è un buco nero, hanno identificato la distribuzione toroidale di materia che circonda la stella. Dopo una serie di calcoli relativi alla velocità con cui essa si muove attorno alla stella, i due ricercatori hanno ricavato per la materia un valore della temperatura dell’ordine di 100 miliardi di gradi Kelvin. In queste condizioni, i nuclei di elio possono produrre in seguito alle collisioni l’elemento litio-7 e ciò implica che deve essere presente con una quantità maggiore rispetto a quanto ipotizzato in precedenza. Inoltre, nel loro articolo, Iocco e Pato affermano che se questo processo di collisione dei nuclei di elio determina anche la produzione di elio-7 con almeno una quantità dell’ordine dell’1%, allora la sua percentuale totale dovrebbe eguagliare quella prevista dal modello cosmologico standard.

ArXiv: Lithium Synthesis in Microquasar Accretion