Un professore assistente di fisica presso l’Indiana University-Purdue University Indianapolis (IUPUI) farà parte di un gruppo internazionale di ricercatori che saranno impegnati in un grande sforzo teorico per risolvere, si fa per dire, il problema dell’incompletezza della meccanica quantistica, un sogno che fu perseguito inizialmente da Albert Einstein a successivamente da altre menti brillanti del secolo scorso.
Stiamo parlando di Le Luo, uno scienziato specializzato in fisica atomica e ottica quantistica che ha una buona esperienza nella manipolazione di ioni intrappolati. Un finanziamento lo aiuterà a collaborare con un gruppo di ricercatori dell’University of Science and Technology in Cina (USTC), dell’Harvard University e di altre Università europee per realizzare quello che viene chiamato il “loophole-free test” delle disuguaglianze di Bell, una delle argomentazioni fondamentali della meccanica quantistica. “Questa ricerca durerà almeno cinque anni o più” spiega Luo. “Se avrà successo, potrebbe avere delle ricadute importanti nell’ambito della meccanica quantistica così come nel settore dell’informazione scientifica di tipo quantistico che renderà la tecnologia informatica più sicura ed efficiente rispetto a quella attuale”. La teoria dei quanti afferma che non esiste una realtà locale. In altre parole, un oggetto non ha valori prefissati finchè non viene osservato. Fino ad allora, si parla solo di probabilità. La teoria suggerisce inoltre che una singola misura può influenzare due sistemi fisici distinti e separati da una certa distanza e che sono descritti da “stati quantistici correlati” (entanglement). Per esempio, la teoria afferma che se due particelle correlate (ioni, protoni, elettroni e così via) vengono spedite a grande distanza, una misura eseguita su una particella in un determinato punto dovrebbe indicare gli stati, ad esempio posizione e velocità, di entrambe le particelle, non importa quanto esse siano distanti. La teoria della relatività afferma, invece, che una situazione di questo tipo è impossibile dato che le particelle dovrebbero comunicare tra di loro con una velocità superiore a quella della luce. Quando si prende in considerazione la realtà locale per le leggi della fisica, la teoria quantistica potrebbe non essere completa, così come pensava Einstein. Ma allora cos’è la realta? Cos’è la materia? Queste domande fondamentali e altre collegate alla meccanica quantistica hanno impegnato gli scienziati da diverse generazioni. “Si spera che l’esperienza di questo gruppo di fisici provenienti da tutto il mondo sarà tale da ottenere qualche progresso scientifico in modo da rispondere a queste grandi domande” dice Luo. Le argomentazioni sulla realtà locale della meccanica quantistica risalgono ai primi anni del ‘900. Einstein assieme a Boris Podolsky e Nathan Rosen furono i primi ad analizzare pubblicamente negli anni ’30 il problema dell’incompletezza della meccanica quantistica, un approccio che divenne noto come ‘paradosso EPR’. Nel 1964, il fisico John Bell fornì una analisi dettagliata del paradosso EPR che portò all’ormai famoso risultato noto come ‘disuguaglianza di Bell’ che indica come devono essere condotti in maniera specifica gli esperimenti sulla realtà locale. I ricercatori hanno iniziato negli anni ’80 ad utilizzare i fotoni in modo da verificare se Einstein aveva o meno ragione. Da allora, gli scienziati hanno considerato vari stati quantistici per dimostrare la validità della teoria ma continuavano ad ottenere sempre loophole nei loro metodi e perciò non ottenevano risultati definitivi. Secondo Luo, utilizzando diversi sistemi quantistici, tra cui fotoni, ioni e altre strutture solide complesse, si potrà verificare sperimentalmente, e per la prima volta, la teoria dei quanti fino a grandi distanze, anche dell’ordine di decine di chilometri, e si potranno così eliminare, si spera, tutti i loophole in modo tale da evitare che due oggetti possano comunicare tra di loro.
Alcune recenti osservazioni sul rivale di Plutone, Eris, potrebbero fornirci nuovi indizi per spiegare i due più grandi misteri della moderna cosmologia: la materia scura e l’energia scura. E’ noto che molte galassie possiedono una maggiore attrazione gravitazionale rispetto ad altre galassie e che può essere spiegata solamente tenendo conto di una maggiore distribuzione della massa visibile. Tuttavia, alle galassie supermassicce viene spesso attribuita una ulteriore presenza di materia invisibile, la materia scura, che interagisce con la materia ordinaria attraverso la gravità. Finora, però, nessuno ha mai rivelato direttamente le particelle che compongono questa enigmatica componente che rappresenta il 23% circa del contenuto materia-energia dell’Universo.
In realtà, da una vecchia nozione della fisica potrebbe derivare una spiegazione. Essa afferma che lo spazio vuoto è una sorta di oceano che ha la forma a ‘schiuma’ (post), completamente turbolento e riempito di coppie di particelle virtuali costituite di materia e antimateria e che appaiono e svaniscono istantaneamente in modo tale che risulta impossibile osservarle. Nonostante esse siano molto piccole, cioè entità quantistiche, Dragan Hajdukovic, un fisico teorico del CERN, ritiene che queste particelle virtuali possano avere delle cariche gravitazionali opposte simili alle cariche elettriche. In presenza di un campo gravitazionale, le particelle virtuali dovrebbero generare un campo di forze secondario che, nel caso delle galassie, potrebbe spiegare la discrepanza legata alla massa. Inoltre, l’idea di Hajdukovic spiegherebbe anche l’energia scura, quell’altra componente misteriosa che rappresenta circa il 73% del contenuto materia-energia dell’Universo e che si ritiene sia la causa dell’espansione accelerata dello spazio. Se le particelle virtuali avessero delle cariche gravitazionali, allora anche lo spaziotempo dovrebbe essere permeato di una piccola carica che farebbe allontanare tutte le galassie le une dalle altre. Per verificare come funziona la gravità su scala quantistica, Hajdukovic pensa di prendere in prestito, per così dire, un ‘trucco’ già utilizzato da Albert Einstein. A causa degli effetti gravitazionali presenti nel Sistema Solare, come le reciproche interazioni dovute agli altri pianeti, è noto dalla relatività generale che l’orbita ovale di Mercurio precede, ossia ruota molto lentamente. Einstein dimostrò che è proprio il campo gravitazionale del Sole che crea una curvatura dello spaziotempo influenzando così l’orbita di Mercurio. Secondo Hajdukovic, la gravità quantistica potrebbe determinare una discrepanza simile nelle orbite di corpi celesti più distanti. Ed è qui che interviene Eris e la sua luna Disnomia. L’enorme distanza a cui si trova il pianeta nano rispetto al Sole fa sì che gli effetti della relatività generale siano trascurabili. A queste distanze può essere valida la fisica newtoniana per cui si calcola un tasso di precessione dell’orbita di Disnomia di circa 13 secondi d’arco per secolo. Se, però, esistono gli effetti dovuti alla gravità su scala quantistica, il tasso di precessione dovrebbe essere di circa -190 secondi d’arco per secolo secondo i calcoli di Hajdukovic. Lo scienziato ritiene che per eseguire queste misure si potrebbero utilizzare gli attuali strumenti di osservazione sia da terra che dallo spazio. Dunque, se da un lato Einstein fu fortunato con il vicino pianeta Mercurio, dall’altro si può dire la stessa cosa con Hajdukovic la cui teoria potrebbe essere verificata osservando gli oggetti trans-nettuniani. Naturalmente c’è chi è scettico, come Gary Page della Longwood University in Farmville, Virginia, il quale sebbene non creda che le osservazioni da terra possano essere così sensibili da rivelare l’effetto ammira comunque lo sforzo del collega e il suo tentativo di verificare la validità o meno delle sue idee.
Tre fisici, Maximilian Schlosshauer, Johannes Kofler, Anton Zeilinger hanno pubblicato un articolo in cui descrivono i risultati di un sondaggio che è stato proposto in occasione del meeting Quantum Physics and the Nature of Reality tenutosi in Austria nel Luglio del 2011. Lo scopo del sondaggio era quello di vedere quanto accordo c’è, o meno, nella comunità dei fisici in relazione ad alcune questioni fondamentali della meccanica quantistica. Sorprendentemente, i risultati indicano che non esiste un buon consenso nell’ambito di alcuni principi fondamentali.
La meccanica quantistica è la miglior teoria che descrive il mondo degli atomi. Le sue basi risalgono a quasi un secolo fa quando Albert Einstein e Niels Bohr svilupparono una serie di modelli e di teorie che avevano lo scopo di comprendere se le particelle esistessero in certe posizioni e in certi istanti di tempo o se, invece, si muovessero costantemente nello spazio con una probabilità di essere osservate in una determinata posizione ad un certo istante di tempo. La seconda idea portò Bohr a concludere che se questo fosse stato il caso allora l’Universo è un luogo in cui regna l’indeterminazione e perciò le sue fondamenta sono di tipo probabilistico. Einstein, riluttante a questa idea terribile, rispose con la sua famosa frase “Dio non gioca a dadi”. Oggi, quasi un secolo dopo, i fisici moderni sono ancora divisi. Di fatto, il sondaggio mostra che il 42% è d’accordo con Bohr mentre il resto è suddiviso tra varie teorie. Ma la cosa più sorprendente di tutte è che il 64% di tutti coloro che hanno risposto alle domande concordano sul fatto che la visione dell’Universo secondo Einstein è sbagliata. Inoltre, un altro tema del sondaggio verteva sul fatto se gli oggetti quantistici conservano le stesse proprietà fisiche così come quando essi vengono osservati. Più del 50% hanno risposto di si. Insomma, se ci basiamo su questi risultati pare che Richard Feynman avesse ragione quando una volta rispondendo a un giornalista dichiarò: “Se qualcuno ritiene di comprendere la teoria dei quanti o è un bugiardo o è un pazzo”.
Che l’Universo sia composto da circa il 23% di materia scura ormai lo sanno tutti. Ma nessuno sa ancora di che cosa consiste questa componente enigmatica. Oggi, però, alcuni fisici dell’Università di Oslo hanno lanciato una sfida per tentare di dare una spiegazione matematica alquanto difficile che potrebbe risolvere una volta per tutte questo enigma astrofisico.
Il mistero della materia scura dura ormai da circa 80 anni e, forse, la soluzione di questo enigma potrebbe essere proprio dietro l’angolo. “Siamo alla ricerca di un nuovo membro dello zoo di particelle per spiegare la materia scura. Siamo convinti che si tratti di una particella molto esotica. E, forse, abbiamo trovato una spiegazione plausibile”, spiega Are Raklev, un professore associato di fisica delle particelle del Dipartimento di Fisica dell’Università di Oslo. Raklev ha presentato un modello che tenta di spiegare ciò che potrebbe essere la materia scura. Anche se essa è invisibile, gli scienziati sanno che esiste. Infatti, senza questa componente sarebbe impossibile spiegare la formazione delle strutture cosmiche. “Anche se siamo in grado di determinare quanta materia scura esiste nell’Universo, sappiamo ancora molto poco sulla sua vera origine e natura. Le particelle di materia scura devono essere pesanti oppure ce ne devono essere in grande quantità. Tra le varie particelle candidate i neutrini hanno tutti i requisiti giusti ma la loro massa è troppo piccola“. Il lavoro di Raklev è quello di dimostrare che la materia scura sia costituita dal gravitino, un’ipotetica particella elementare, il cui partner supersimmetrico è il gravitone, che emergerebbe dalle teorie che tentano di unificare la relatività generale e la supersimmetria. “Il gravitino è l’ipotetica particella il cui partner supersimmetrico è il gravitone, anch’esso una particella ipotetica” spiega Raklev.
Dunque, per capire meglio le ragioni per cui Raklev ritiene che la materia scura sia composta da gravitini, dobbiamo fare alcune considerazioni:
1 : Uno degli obiettivi dei fisici è quello di scoprire se la natura è supersimmetrica, cioè se esiste una simmetria tra particelle e interazioni fondamentali. Per ogni tipo di elettrone e quark corrisponde un partner supersimmetrico, più pesante. Si ritiene che le particelle supersimmetriche siano state create subito dopo il Big Bang. Se alcune di loro sono sopravvissute fino ad oggi, forse potrebbero costituire la materia scura. Il partner supersimmetrico del gravitino è il gravitone. “Un gravitone è la particella che media la forza di gravità, proprio come il fotone, la particella di luce, media la forza elettromagnetica. Mentre i gravitoni non hanno massa, i gravitini possono essere molto pesanti. Dunque se la natura è supersimmetrica e i gravitoni esistono, allora anche i gravitini devono esistere e viceversa. Questa è matematica pura”. Ma c’è un problema. I fisici non possono dimostrare la relazione tra gravitoni e gravitini prima che non siano state unificate tutte le forze della natura.
2 : Un altro obiettivo di fondamentale importanza è quello di unificare tutte le forze della natura in un’unica teoria. Verso la metà del secolo scorso i fisici scoprirono che l’elettricità e il magnetismo erano due aspetti diversi della stessa interazione che fu successivamente chiamata elettromagnetismo. Esistono poi altre due interazioni, la forza nucleare forte e la forza nucleare debole. La forza nucleare debole è associata alla radioattività. La forza nucleare forte, che è circa dieci miliardi di volte più intensa, lega insieme protoni e neutroni. Durante gli anni ’70, l’elettromagnetismo entrò nel quadro del modello standard assieme alle altre due forze, nucleare forte e nucleare deboli. La quarta forza fondamentale della natura è la gravità. Si tratta dell’interazione più debole in termini di intensità che i fisici non sono ancora in grado di unificare con le altre tre forze della natura. Oggi, i teorici sono impegnati a formulare una teoria che un giorno, si spera, permetterà di descrivere tutte le interazioni fondamentali tra le particelle elementari. I fisici chiamano questa teoria la “teoria del tutto”. “Al fine di unificare la forza gravitazionale con le altre tre forze della natura, dobbiamo descrivere la gravità su scale subatomiche. Ciò significa che abbiamo bisogno di una teoria in cui sia incluso anche il gravitone“.
Per dirla in breve, lo studio della materia scura è molto complicato e uno dei motivi principali è che essa non interagisce dal punto di vista elettromagnetico con le particelle terrestri. Abbiamo detto che una particella candidata è il neutrino. Forse, i neutrini costituiscono solo una parte infinitesimale della materia scura. Sappiamo che diversi miliardi di neutrini attraverso il nostro corpo ogni secondo. Tuttavia, la loro velocità è piuttosto limitata. Di fatto, queste particelle elusive si muovono così lentamente come la velocità con cui il Sistema Solare orbita attorno alla Via Lattea, circa 400 chilometri al secondo. “Quando non ci sono interazioni con le particelle elettromagnetiche visibili, i neutrini possono attraversare il nostro corpo senza che nessun strumento li riveli. Qui è proprio dove entra in gioco la supersimmetria. Se la teoria è corretta, allora i fisici potranno spiegare perché vi è materia scura nell’Universo. E questa è la parte divertente del mio lavoro”, afferma Raklev. “La supersimmetria semplifica tutto. Se un giorno sarà possibile unificare le quattro forze della natura, allora i gravitini dovranno far parte dello zoo delle particelle“. I gravitini si sarebbero formati subito dopo il Big Bang. “Subito dopo il Big Bang si è originata una ‘zuppa di particelle’ che erano continuamente in collisione. I gluoni, le particelle che mediano la forza nucleare forte, entrarono in collisione con altri gluoni per produrre gravitini. Perciò molti gravitini si sarebbero formati dopo il Big Bang mentre l’Universo si trovava ancora in uno stato di plasma. Dunque abbiamo una spiegazione del perché esistono i gravitini“.
Tuttavia, i fisici hanno visto i gravitini come un problema teorico. Essi ritengono che la teoria della supersimmetria non funziona perché ci sono troppi gravitini. “I fisici hanno quindi cercato di eliminare i gravitini dai loro modelli. Noi, invece, abbiamo trovato una nuova spiegazione che unifica la supersimmetria con la materia scura costituita di gravitini. Se la materia scura non è stabile, ma esiste da lungo tempo, c’è un modo di spiegare perchè la materia scura consista di gravitini“. Negli altri modelli, la materia scura viene considerata sempre eterna. Questo significa che i gravitini rappresentano una parte problematica della supersimmetria. Nel modello di Raklev, i gravitini non durano in eterno e la loro vita media è molto lunga, addirittura più lunga dell’età dell’Universo. Tuttavia, vi è una notevole differenza tra una vita senza fine e una età superiore a 14 miliardi di anni. Se il tempo di vita è lungo ma limitato, i gravitini possono trasformarsi in altre particelle. È proprio questo effetto di trasformazione che può essere misurato per spiegare così il modello. “Noi siamo convinti che quasi tutta la materia scura sia composta da gravitini e la spiegazione di ciò si basa su una formulazione matematica molto complessa. Stiamo sviluppando modelli speciali che consentano di prevedere in che modo queste particelle possano essere osservate negli esperimenti“.
I ricercatori stanno cercando di verificare sperimentalmente l’esistenza di queste particelle ed è questo il motivo per cui i gravitini non stati ancora rivelati al CERN. “Forse, potrebbero essere osservati nello spazio“, spiega Raklev. Il modo più semplice per rivelare i gravitini potrebbe essere quello di studiare cosa succede quando due particelle collidono nell’Universo e vengono trasformate in altre particelle sottoforma di fotoni o antimateria. Anche se le collisioni avvengono molto raramente, c’è ancora tanta materia scura nello spazio per cui ci aspettiamo che venga prodotto un numero significativo di fotoni. Il problema principale è che i gravitini non interagiscono. Ma c’è una speranza. “Fortunatamente per noi, i gravitini non sono al cento per cento stabili. Ad un certo punto, essi vengono trasformati in qualcosa d’altro. Oggi siamo in grado di prevedere come può apparire il segnale una volta che i gravitini siano stati trasformati in altre particelle. Questo processo di conversione causerà l’emissione di un’onda elettromagnetica, cioè raggi gamma“. Attualmente, il telescopio spaziale Fermi sta misurando i raggi gamma associati alle sorgenti di alta energia. “Finora abbiamo visto solo il rumore. Ma alcuni ricercatori affermano di aver osservato un piccolo eccesso di raggi gamma sospetto proveniente dal centro della nostra galassia. Forse, i loro dati potrebbero descrivere bene il nostro modello”, conclude Raklev.
Per quanto triste a dirsi, la storia ci ha comunque insegnato che le esplosioni delle bombe atomiche hanno permesso di verificare uno dei più importanti principi della fisica: energia e massa sono la stessa cosa e possono essere convertite l’una nell’altra. Ciò fu dimostrato da Albert Einstein nella teoria della relatività speciale ed espresso nell’ormai famosa equazione dell’equivalenza massa-energia, E = mc2, dove “E” indica l’energia, “m” la massa e “c” la velocità della luce. Nonostante i fisici abbiano validato l’equazione di Einstein grazie ad una serie di numerose verifiche sperimentali, utilizzando persino i cellulari e i sistemi di navigazione GPS, Andrei Lebed è convinto che la relazione di equivalenza massa-energia potrebbe dipendere dalla posizione in cui ci troviamo nello spazio. L’idea che sta alla base del suo pensiero parte dal concetto stesso di massa. Secondo le nozioni attuali, non c’è alcuna differenza tra la massa inerziale e quella gravitazionale, cioè il “peso”, di un determinato oggetto. Il principio di equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale, introdotto inizialmente da Galileo nella fisica classica e successivamente da Einstein nella fisica moderna, è stato confermato con una precisione elevata. “Tuttavia, secondo i miei calcoli trovo che oltre una certa probabilità esiste, seppur piccola, una chance reale che l’equazione venga meno per la massa gravitazionale”, dichiara Lebed. Se si misura il peso di un oggetto quantistico, come ad esempio l’atomo di idrogeno, molto spesso il risultato sarà lo stesso nella maggior parte dei casi, ma una piccolissima parte di quelle misure darà un risultato diverso implicando una violazione apparente dell’equazione di Einstein. Questo risultato, che ha sorpreso i fisici sperimentali, potrebbe essere spiegato ammettendo che la massa gravitazionale non sia effettivamente la stessa di quella inerziale, il che rappresenta un paradigma per la fisica. “La maggior parte dei fisici non è d’accordo su questo concetto perché ritengono che la massa inerziale sia esattamente uguale a quella gravitazionale”, spiega Lebed. “Ma dal mio punto di vista, le due masse potrebbero essere diverse per la presenza di qualche effetto quantistico presente nella relatività generale. Per quanto ne sappia io, nessuno ha mai proposto prima questo esperimento. Il problema più importante della fisica moderna è quello di formulare una teoria che sia in grado di descrivere tutte le forze della natura. In altre parole, bisogna capire come unificare la meccanica quantistica relativistica con la gravità. Io sto cercando di trovare una relazione tra gli oggetti quantistici e la relatività generale”.
Per capire il ragionamento di Lebed, dobbiamo partire dalla gravità. Lo scienziato dimostra, in uno dei suoi articoli, che mentre l’equazione E = mc2 vale ancora per la massa inerziale, essa invece non è sempre vera per la massa gravitazionale, il che implicherebbe che le due masse non sono in definitiva uguali. Secondo la teoria di Einstein, sappiamo che la forza di gravità è il risultato della curvatura dello spaziotempo: più grande è la massa di un corpo celeste e maggiore sarà la curvatura dello spazio. “Dunque, lo spazio ha una curvatura e quando la massa si muove nello spazio, la curvatura disturba il moto”. Secondo Lebed, la curvatura dello spazio è ciò che rende differente la massa gravitazionale da quella inerziale. Per verificare questa ipotesi, lo scienziato suggerisce allora di misurare il peso dell’atomo più semplice che esiste in natura: un singolo atomo d’idrogeno, che consiste di un nucleo composto da un protone attorno al quale orbita un elettrone. Ora, dato che l’effetto da misurare è molto piccolo, sarà necessario considerare tantissimi atomi di idrogeno.
Questa è l’idea: Occasionalmente accade, anche se raramente, che l’elettrone in orbita attorno al nucleo salta verso un livello di energia più alto, che si può immaginare come una orbita più esterna. Ma nel giro di poco tempo, l’elettrone ritorna nell’orbita iniziale di minima energia. Ora, secondo l’equazione di Einstein, la massa dell’atomo di idrogeno cambierà in funzione della variazione di energia, passando da un livello ad un altro. Finora, tutto bene. Ma che succede se poniamo lo stesso atomo di idrogeno nello spazio, dove non c’è più la gravità e quindi lo spazio diventa piatto anziché essere curvo come è nel caso in cui ci troviamo sulla Terra? Probabilmente l’avete già immaginato: l’elettrone non salterà più su un orbita più esterna di energia più elevata poiché nello spazio in assenza di gravità esso rimane confinato nella sua orbita di minima energia. In altre parole, l’elettrone “non sente”, per così dire, la presenza della gravità. Viceversa, se ci spostiamo nuovamente verso il campo gravitazionale terrestre, l’elettrone risentirà dell’effetto della curvatura dello spazio, quindi potrà saltare verso una orbita più esterna e di conseguenza la massa dell’atomo di idrogeno risulterà diversa.
“Gli scienziati hanno eseguito una serie di misure dei livelli di energia qui sulla Terra, ma questo non ci dà nulla dato che la curvatura dello spazio rimane costante e perciò non c’è alcuna perturbazione”, dice Lebed. “Ciò che non hanno considerato prima è come la variazione dei livelli di energia dipenda, invece, dalla curvatura dello spazio che disturba l’atomo. Anziché misurare direttamente il peso, dovremmo rivelare queste variazioni di energia sottoforma di fotoni emessi, essenzialmente luce”. Lebed suggerisce inoltre l’esperimento seguente per verificare questa ipotesi: per un determinato periodo di tempo, si invia nello spazio una sonda contenente un recipiente fornito d’idrogeno e un fotorivelatore sensibile. Nello spazio, la relazione di equivalenza massa-energia è la stessa per l’atomo ma solo per il fatto che l’assenza di curvatura dello spazio non permette all’elettrone di saltare da un livello ad un altro. “Quando siamo vicini alla Terra, la curvatura dello spazio disturba l’atomo e perciò esiste una probabilità che l’elettrone salti da un livello all’altro, emettendo così un fotone che viene osservato dal rivelatore”. In questo modo, l’equivalenza massa-energia non è più costante sotto l’influenza del campo gravitazionale. Secondo Lebed, la sonda non dovrebbe andare molto lontano nello spazio e a circa due o tre volte il raggio terrestre l’effetto dovrebbe già registrarsi. In sostanza, si tratta della prima proposta sperimentale di verificare i concetti della meccanica quantistica con quelli della relatività generale nell’ambito del Sistema Solare. “Non ci sono esempi diretti di un ‘matrimonio’ tra queste due teorie”, spiega Lebed. “Ciò è importante non solo dal punto di vista del fatto che la massa gravitazionale non sia uguale a quella inerziale, ma anche per il fatto che molti fisici vedono questo matrimonio come un qualcosa di mostruoso e incompatibile. Mi piacerebbe verificare la fattibilità di questo matrimonio. Voglio verificare se funziona oppure no”, conclude Lebed.
Lebed ha presentato i suoi calcoli durante il meeting di Stoccolma, Marcel Grossmann Meeting, la scorsa estate dove la comunità di fisici ha accolto le sue idee con uguale curiosità e scetticismo.
Il 2012 che abbiamo lasciato da qualche giorno sarà certamente ricordato dagli storici della fisica come l’anno in cui il Large Hadron Collider (LHC) ha permesso di rivelare una nuova particella le cui proprietà sembrano essere consistenti con quelle del bosone di Higgs [post]. Dunque, cosa ci dobbiamo attendere di nuovo nel 2013? Quali saranno le scoperte chiave di quest’anno appena iniziato e chi sarà il protagonista di tali scoperte e, ancora, dove avranno luogo? Il bello della fisica è che, naturalmente, nessuno lo sa per certo e allora proviamo a pensare cosa potrebbe accadere o quali saranno le maggiori aspettative nel campo della fisica e dell’astronomia.
Cominciamo con la fisica. Al CERN di Ginevra, i fisici saranno impegnati sin da subito ad analizzare una grande quantità di dati una volta che il grande collisore adronico sarà spento per almeno due anni a partire dal giorno 11 Febbraio. I vari gruppi di ingegneri inizieranno tutta una serie di manutenzioni e verifiche per eliminare alcuni problemi tecnici e rendere operativi i magneti dell’acceleratore di particelle al fine di arrivare ad una energia di esercizio di 8,3 TeV, che dovrebbe poi permettere a LHC di accelerare le particelle con una energia totale di almeno 13 TeV, così come è previsto per il 2015. La pausa di quest’anno dovrebbe dare un pò di respiro ai fisici che dovranno analizzare una vera e propria montagna di dati prodotti nel corso degli ultimi mesi e con un ritmo vertiginoso pari a diversi giga al secondo. Dovremmo così vedere pubblicati una serie di articoli scientifici che descrivono le caratteristiche e le proprietà della nuova particella ma anche leggere varie discussioni e punti di vista che saranno presenti in vari blog tra i quali quelli curati da Adam Falkowski, Phillip Gibbs, Matt Strassler e Peter Woit. Inoltre, ci si aspetta che la supersimmetria, cioè quella teoria che si estende al di là del modello standard e che dovrebbe unificare tre delle quattro interazioni fondamentali a valori di energia dell’ordine di 1016 GeV, non sarà ancora osservabile nel 2013 [post]. Per coloro che saranno interessati, il CERN dispone di una sorta di bacheca online che chiunque può consultare in modo da tenere sotto controllo lo stato attuale di LHC. Secondo il portavoce del rivelatore CMSJoe Incandela si prevede che dopo il periodo di arresto i prossimi esperimenti raggiungeranno una energia di collisione di 13 TeV, anche se non sarà molto facile. Uno dei problemi tecnici dipende dal fatto che per andare da 13 a 14 TeV i magneti debbano essere inizialmente riscaldati e poi raffreddati nuovamente e così via, il che richiede abbastanza tempo. Lo scienziato ritiene che per questi motivi, gli esperimenti saranno condotti per lungo tempo con una energia di collisione di 13 TeV, in modo da accumulare nel frattempo una certa quantità di dati. Un altro aspetto da considerare sarà quello di capire chi avrà il premio Nobel per la Fisica del 2013. Le candidature chiuderanno a fine Gennaio e lo scienziato Peter Higgs è sicuramente uno dei maggiori candidati. Ma i membri della Royal Swedish Academy of Sciences non avranno vita facile quando saranno chiamati a scegliere altri due nomi. Si tratterà di teorici? Oppure saranno scelti tra coloro che hanno partecipato agli esperimenti di LHC? O magari saranno due dei sette recenti vincitori del premio di 3 milioni di dollari della fondazione Fundamental Physics Prize Foundation ideata dal fisico divenuto imprenditore Yuri Milner? E’ una situazione abbastanza complessa, così come ha sottolineato lo stesso Peter Higgs, perché almeno altri cinque teorici, secondo lui, tra questi Robert Brout, che ha ricevuto nel 2004 il Wolf Prize in Physics assieme a Peter Higgs e François Englert e che poi è deceduto nel 2011, François Englert, Gerald Guralnik, Carl Hagen, Tom Kibble e Philip Anderson, meritano allo stesso modo di ricevere il Premio Nobel. Comunque sia, le previsioni dicono che quasi sicuramente il premio Nobel per la Fisica 2013 andrà a Higgs, Englert e Anderson.
Passiamo ora all’astronomia. Il 2013 vedrà il lancio di alcune interessanti missioni spaziali. Tra queste, un rover lunare cinese, Chang’e 3, così come una missione della NASA, LADEE, che avrà lo scopo di raccogliere una serie di informazioni sul suolo e sulla polvere lunare importanti per le future stazioni spaziali che avranno come base il nostro satellite naturale. Ancora la NASA lancerà una sonda, MAVEN, che avrà il compito di studiare l’atmosfera del pianeta rosso e poi un’altra, ISIS, che raccoglierà dati analizzando la corona e il vento solare. L’ESA, invece, non starà a guardare. Il suo programma spaziale prevede il lancio della sonda Sentinel-1 per lo studio della Terra, la missione Gaia per la misura e la catalogazione di circa un miliardo di stelle della Via Lattea e del Gruppo Locale, e un insieme di tre satelliti, Swarm, che saranno posti in tre orbite diverse allo scopo di monitorare il campo magnetico terrestre. Per quanto riguarda il volo spaziale, il 2013 dovrebbe vedere due ulteriori missioni verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), una di SpaceX e un’altra sarà caratterizzata da un volo dimostrativo della capsula Cygnus della Orbital Sciences Corporation, che tenterà anch’essa di raggiungere la ISS. Nel campo della cosmologia, ci aspettiamo tante novità dalla missione Planck dell’ESA i cui primi risultati scientifici saranno presentati durante un importante meeting che si terrà ad Aprile in Olanda. Per gli astronomi amatoriali, invece, il 2013 riserverà una sorpresa verso Novembre quando il cielo avrà come protagonista una super cometa, ISON, che sarà circa 15 volte più brillante della Luna e ci regalerà un magnifico spettacolo, almeno si spera.
Infine, tra le varie celebrazioni e anniversari, nel 2013 ricorderemo il centenario del modello atomico di Niels Bohr, che utilizzava per la prima volta i concetti della fisica quantistica per descrivere le frequenze della luce emessa dall’atomo di idrogeno quando viene eccitato, qualcosa che non era possibile prevedere con la fisica classica. Il 2013 sarà anche l’anno che segna il centenario della pubblicazione di un articolo di Lawrence Bragg, riguardante la legge di diffrazione dei raggi X nei materiali cristallini, così come sarà il centenario della misura della carica elettrica dell’elettrone eseguita da Robert Millikan. Da ricordare, per concludere, l’introduzione del termine “isotopo” coniato da Frederick Soddy e la realizzazione del collegamento tra il numero atomico e la carica nucleare ad opera di Hans Geiger, inventore del contatore di particelle elementari.
Comunque sia, qualsiasi scoperta nel campo della fisica o dell’astronomia abbia in serbo il 2013, AstronomicaMens cercherà di dare come sempre le ultime notizie e gli aggiornamenti. Nel frattempo, auguro ai lettori di questo blog un felice e sereno anno nuovo.
Quella che segue è una selezione di fatti e avvenimenti che hanno caratterizzato la ricerca nel campo della fisica e dell’astronomia durante il 2012. L’ordine non segue necessariamente la cronologia.
Galassie nane e formazione stellare
NASA/ESA/A. van der Wel (Max Planck Institute for Astronomy)/H. Ferguson and A. Koekemoer (Space Telescope Science Institute)/The CANDELS team
Le galassie nane vissute tra i 9 e 10 miliardi di anni fa hanno subito un violento incremento di formazione stellare il che implica che molte, se non la maggior parte, delle stelle in queste galassie si formano allo stesso modo di quelle presenti nell’Universo di oggi.
Quei famosi sette minuti di terrore del Mars Science Laboratory diventano una conquista della tecnologia terrestre tra il 5 e il 6 Agosto una volta che il rover Curiosity discende senza problemi sulla superficie del pianeta rosso.
Spiato il getto di un super buco nero
J.A. Biretta, W.B. Sparks, F.D. Macchetto, E.S. Perlman (STScI)
Grazie ad una serie di osservazioni radio da terra, gli astronomi riescono ad osservare la parte basilare del getto nella galassia M87.
Gli astronomi hanno rivelato nuovi mondi in orbita attorno a stelle binarie, alcuni in orbita attorno a stelle che non presentano elementi pesanti, altri invece sono sopravvissuti alla fase di gigante rossa.
Una supernova di tipo Ia può originarsi da due meccanismi diversi e durante il 2012 sono emerse altre domande che hanno posto il punto sul problema energetico. Una conseguenza importante è che questa classe di supernovae è stata utilizzata per determinare il tasso di espansione dell’Universo.
LHC osserva una nuova particella consistente con il bosone di Higgs
Una delle tante collisioni protoni-protoni presso il rivelatore CMS.
Due rivelatori, ATLAS e CMS, trovano una nuova particella che sembra avere alcune proprietà consistenti con il bosone di Higgs, l’ultimo tassello mancante del modello standard che spiega la fenomenologia delle particelle elementari e le loro interazioni fondamentali.
Due particelle di Majorana (le due palline in arancione) si formano alle estremità di un ‘nanocavo’.
Si tratta di fermioni, particelle che sono anche le rispettive antiparticelle di se stesse. Furono proposte nel 1937 da Ettore Majorana. Oggi, i fisici ritengono che queste particelle potrebbero essere presenti in alcuni materiali che possiedono particolari proprietà topologiche, come ad esempio i materiali superconduttori o semiconduttori.
Grazie all’esperimento BaBar, i fisici hanno osservato la prima evidenza diretta della violazione della simmetria per inversione temporale misurando il tasso a cui il mesone B0 modifica gli stati quantistici. Si tratta di una verifica sperimentale diretta nel campo della fisica quantistica.
Gli ammassi di galassie ci forniscono tutta una serie di informazioni su come si è formato l’Universo non solo ma ci permettono di avere indizi fondamentali sull’origine e la natura della materia scura e dell’energia scura. Circa 40 anni fa, i fisici russi Rashid Sunyaev and Yakov Zel’dovich calcolarono che il moto degli ammassi di galassie poteva essere osservato misurando una lieve variazione di temperatura nella radiazione cosmica di fondo. Oggi, queste misure sono state riottenute con maggiore precisione grazie ad una serie di osservazioni realizzate con l’Atacama Cosmology Telescope (ACT) e la survey Baryon Oscillation Spectroscopic Survey (BOSS).
International Conference on Mathematical Sciences – Science College, Nagpur run by Shri Shivaji Education Society, Amravati and affiliated toR.T.M. Nagpur University, Nagpur is a premier institution of higher learning in Central India. Continua a leggere International Conference on Mathematical Sciences→